Tokenizzazione delle opere d’arte, istruzioni per l’uso

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La tokenizzazione delle opere d’arte rappresenta la frammentazione in pezzi virtuali di un’opera, resa così accessibile al grande pubblico abbassando la soglia d’investimento e del rischio. Ma come funziona? Ne parla Aldo Bisioli, partner dello Studio Legale Biscozzi Nobili

Tokenizzazione delle opere d’arte, cosa vuol dire?

“Avete presente l’opera di Banksy, la bambina con il palloncino battuta all’asta da Sotheby’s a Londra? Subito dopo è stata tagliuzzata in mille pezzettini con un tritacarte inserito all’interno del quadro. Metaforicamente questa è la tokenizzazione delle opere d’arte, cioè la frammentazione in pezzi virtuali dell’opera che vengono così resi accessibili al grande pubblico a un costo ridotto, con una soglia d’investimento molto bassa e con un rischio contenuto. Si può dire che i token, i gettoni digitali basati sulla tecnologia blockchain, stanno alle opere d’arte, alle collezioni di opere d’arte, ma anche ad altri beni (magazzini, iniziative industriali..), come le azioni stanno alle società. In altre parole, sono dei titoli rappresentativi ma in un mondo digitale, resi certi e sicuri dalla tecnologia blockchain. Si tratta, dunque, di un registro digitale diffuso e condiviso, che ha il carattere di modificabilità e fa da garanzia senza la presenza di un ente regolatore centrale che certifichi quello che avviene”.

Come funziona?

“Semplificando possiamo dividere la cosa al di qua e al di là dello schermo di un pc. Al di qua il funzionamento è molto semplice. Si tratta di un sito internet con alcuni clic, previo riconoscimento dell’investitore, perché le esigenze anti-riciclaggio sono elevate e devono essere mantenute alte soprattutto in questo mondo. Si riesce ad acquistare un pezzo di Monet o di Picasso, ad esempio, tramite carte di credito e criptovalute. Spesso l’opera d’arte viene associata all’etichetta o alla garanzia di una galleria fisicamente esistente e permette di toccare con mano l’opera su cui si sta investendo finanziariamente. Dall’altra parte dello schermo c’è invece un mondo molto complesso basato sulla tecnologia blockchain, con un gestore che deve garantire la credibilità del sito (il gemellaggio con una galleria o qualcosa di esistente è fondamentale), ma deve anche garantire un mercato secondario per il pezzetto di opera d’arte. E’ facile investire 200 euro in un Picasso, l’aspettativa è che il valore cresca, ma poi l’esigenza è quella di liquidare l’investimento. Ci vuole il cosiddetto mercato secondario che abbia uno spessore e una credibilità tale da permettere di liquidare l’investimento al singolo investitore”.

Quali vantaggi per gli investitori e quali per i proprietari delle opere?

“Al di là dell’aspetto emotivo c’è l’abbassamento della soglia d’investimento e del rischio. Pochissimi possono permettersi un’opera d’arte, un Picasso o un Fontana, e c’è il rischio teorico che il valore non aumenti nel corso del tempo. La tokenizzazione vuol dire ridurre significativamente sia la soglia che il rischio, e rende il mercato dell’arte più liquido e controllato grazie alla blockchain. Dall’altra parte, c’è la possibilità di rendere liquido un investimento. Pensiamo a una galleria che vuole espandere o diversificare il tipo d’arte che espone: può liquidare una parte o tutto il suo patrimonio attraverso la tokenizzazione per avere risorse liquide da investire in nuove opere. Inoltre, gli stessi autori dell’opera possono affacciarsi sul mercato saltando l’intermediazione e cercando canali di sbocco nuovi come la tokenizzazione delle opere d’arte”.

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