C’è anche il presidente dei consulenti finanziari indipendenti, Cesare Armellini, tra i firmatari della lettera aperta che si scaglia contro la proposta del governo di aumentare l’aliquota del 42% sulle plusvalenze cripto. Una decisione giudicata eccessiva e dannosa per l’innovazione tecnologica in Italia. Ed è dunque una preoccupazione che investe non solo la giovane industria italiana del bitcoin che, ovviamente, sarà colpita se la proposta del governo entrerà in manovra finanziaria. Ed è questa la ragione per cui a firmare l’appello ci sono innanzitutto i fondatori delle piattaforme italiane, Ferdinando Ametrano di CheckSig e Christian Miccoli di Conio, Mariano Carozzi di First Personal Coin e Andrea Ferrero di Young Platform, il nuovo general manager di Binance Italia Gianluigi Guida tra gli altri. Ma la lista include anche esperti legali e tributari, come Filippo Annunziata e Andrea Conso – Studio Annunziata e Conso, Francesco Avella – Studio Avella e Associati, Stefania Barsalini – D&B Tax Account, Andrea Pantaleo – DLA Piper e Massimo Simbula – Studio Legale Simbula. E infine, accademici, tra cui Paola Bongini – Crypto Asset Lab e Università Milano-Bicocca, Gianna Figà Talamanca – Crypto Asset Lab e Università di Perugia e Valeria Portale – Osservatorio Blockchain & Web3 Politecnico di Milano. E, forse sorprendentemente, anche i consulenti indipendenti di Napof (l’elenco completo dei firmatari è qui).
Gli argomenti dei dissidenti della super-aliquota sul bitcoin
“L’aumento nel 2025 dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze cripto al 42%, dal 26% usuale per le rendite finanziarie, sarebbe fiscalmente discriminatorio e quindi iniquo, probabilmente anche incostituzionale. Violerebbe, infatti, i principi più basilari di equità fiscale e di uguaglianza introducendo una distinzione tra gli investimenti diretti in cripto-attività, tassati al 42%, e gli investimenti indiretti tramite fondi d’investimento (Etf, Etp, Etc, ecc.) e strumenti derivati che rimarrebbero al 26%”, così si apre la lettera.
Il tema è molto delicato. Perché in ballo c’è molto più che bitcoin e i bitcoiner, ma lo stesso sviluppo di tecnologie blockchain e infrastrutture digitali, che negli ultimi anni è stato spinto dai governi recenti che hanno riconosciuto il potenziale delle cripto-attività per rendere più efficiente, trasparente e sicuro il sistema economico. A rischio c’è il tentativo di detenere la sovranità tecnologica, fondamentale per mantenere il controllo sulle infrastrutture critiche nazionali. La proposta, inoltre, sembra smentire le promesse del Governo di non aumentare le tasse e di sostenere i giovani e le imprese, risultando incoerente con le dichiarazioni ufficiali.
Una tassa che discrimina gli italiani che investono sulle piattaforme iscritte al registro Oam, per lo più under 40
A giugno 2024 più di 1,3 milioni di italiani detenevano cripto-attività presso gli intermediari autorizzati, per un controvalore di oltre 2,2 miliardi; in totale, oltre 2 milioni di italiani hanno investito in cripto tramite intermediari autorizzati negli ultimi anni e la maggioranza ha meno di 40 anni (fonte Oam). Il numero di investitori sale a circa 3,6 milioni se si includono quelli che detengono direttamente o tramite intermediari non autorizzati (fonte Osservatorio Blockchain e Web3 del Politecnico di Milano). Sono 150 i Virtual Asset Service Providers iscritti nel registro Oam e il settore genera un indotto di circa 2,7 miliardi, con un aumento del 85% rispetto al 2023.
Per la loro bassa correlazione con le altre forme di investimento, le cripto-attività riducono il rischio di un portafoglio di investimento a parità di rendimento, tanto che la Research Institute Foundation degli Analisti Finanziari Certificati (CFA) suggerisce dal 2021 di allocare il 2,5% del portafoglio di investimento in Bitcoin.
La supertassa fa fuggire piattaforme, investitori e cervelli
Ovviamente il primo effetto dell’aumento della tassazione lo subirebbe l’industria italiana dei servizi cripto: è presumibile che si assisterà a una fuga delle piattaforme italiane, se la norma dovesse diventare definitiva. In Svizzera (dove non c’è nessuna tassazione per il capital gain su cripto-attività) o Germania (nessuna tassazione per il capital gain su cripto-attività possedute per almeno 12 mesi), Francia, Lituania, Malta o Estonia.
Fuga anche di cervelli in settori come informatica, crittografia e diritto digitale, cruciali per le sfide della digitalizzazione. “L’Italia rischia di perdere l’occasione di sviluppare competenze e infrastrutture strategiche legate alle cripto-attività, lasciando il campo a Paesi concorrenti che stanno investendo in queste tecnologie. Il risultato sarebbe un ecosistema digitale meno dinamico e meno competitivo a livello globale”.
E fuga infine degli investitori che detengono cripto-attività direttamente o tramite intermediari non autorizzati, oggi ancora maggioritaria, e che sarebbe incentivata a non emergere. Anzi, tanti altri potrebbero essere spinti ad andare verso operatori opachi e non autorizzati, continua la lettera, con un effetto controproducente per l’erario. Insomma, l’aumento dell’aliquota annullerebbe la chiarezza fatta con la legge di bilancio 2023 con cui era stato colmato un buco legislativo, fornendo un quadro fiscale perfettibile ma chiaro.
“Inoltre – si legge nella lettera – le proiezioni di entrate fiscali derivanti dalla nuova aliquota sembrano irrealistiche: molti detentori di cripto, infatti, hanno acquistato i loro asset a prezzi elevati e potrebbero decidere di non vendere o di spostarsi verso Paesi con tassazioni più vantaggiose… Si teme anche che, per evitare il pesante carico fiscale, molti investitori liquidino le loro posizioni entro la fine del 2024, con effetti distorsivi sul mercato”.
Impatto sui servizi di consulenza finanziaria
Ce n’è abbastanza, anche solo così, per fare un passo indietro. Ma a subire qualche danno sarebbe, secondo la lettera aperta, anche la consulenza finanziaria. “L’aumento così sproporzionato dell’aliquota rispetto agli altri investimenti finanziari pone un forte vincolo di natura fiscale nelle attività di consulenza finanziaria. Nell’attività già di per sé complessa di benchmarking e pianificazione finanziaria, i professionisti dovranno anteporre logiche di arbitraggio fiscale (scelta degli strumenti finanziari e domiciliazione fiscale) al genuino interesse economico e patrimoniale dei clienti, riducendo peraltro il gettito fiscale nel medio-lungo periodo”.
L’appello per un confronto costruttivo
I professionisti del settore cripto chiedono quindi al Governo di riconsiderare la proposta di aumentare l’aliquota, adottando un approccio più equilibrato e lungimirante. Serve un dialogo aperto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze per trovare soluzioni che possano conciliare la necessità di una raccolta fiscale efficiente con la crescita economica del Paese. Tra le proposte, si suggeriscono incentivi per far emergere il mercato sommerso e per incoraggiare i fornitori di servizi cripto a svolgere il ruolo di sostituti d’imposta, semplificando la gestione fiscale per gli investitori.
L’Italia ha tutte le carte in regola per diventare un hub tecnologico e innovativo, ma questo sarà possibile solo se le politiche fiscali saranno orientate alla crescita e non alla penalizzazione. Solo con un approccio bilanciato e inclusivo si potranno cogliere tutte le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, costruendo un sistema finanziario moderno e competitivo a livello internazionale.