Per avere successo e distinguersi è necessario essere baciati da un talento fuori dal normale. Spesso ognuno di noi parte da questa premessa con la quale in maniera più o meno conscia andiamo a tarpare noi stessi le ali alle nostre prospettive di carriera. Nicoletta Romanazzi, mental coach che ha accompagnato Marcell Jacobs al trionfo alle Olimpiadi, quotidianamente lavora con la mente di sportivi e non, per evitare di farsi intrappolare da assunti erronei. Abbiamo chiesto a lei cosa vuol dire avere talento, come far emergere tutte le qualità e gestire al meglio i momenti di stress.
Partiamo dall’abc, cosa vuol dire ‘avere talento’? Che strumenti può mettere in campo un mental coach per far emergere tutte le potenzialità di una persona?
Spesso abbiamo un’idea sbagliata di talento, perché quando pensiamo al talento ci immaginiamo qualcosa di straordinario, grandi artisti o qualcuno che eccelle in un determinato ambito. Questo però ci porta fuori strada, facendoci erroneamente pensare di essere privi di talento. Noi abbiamo tanti talenti, ossia cose in cui siamo particolarmente bravi. Magari sono semplicemente cose insite in noi. Ad esempio io ho un grande ottimismo innato, sorrido tanto e riesco a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno; con il tempo mi sono resa conto che si trattava di un mio punto di forza, un talento vero e proprio. In generale ciascuno di noi ha dei talenti, anche se spesso non li riconosciamo e non li portiamo nella nostra vita in modo consapevole e di conseguenza non li usiamo a nostro vantaggio. Nel mio ruolo di mental coach c’è proprio tutto il lavoro volto ad aiutare le persone a riconoscere e sfruttare al meglio i propri talenti.
Nello sport così come nel mondo del lavoro la gestione dello stress è essenziale, che consigli dai ai tuoi assistiti per gestirsi al meglio?
Primo passaggio in assoluto è accettare il pensiero negativo, le paure, comprendere che sono meccanismi di protezione. La paura arriva perché ci stiamo spingendo in una direzione nella quale rischiamo di deludere persone importanti per noi, entrando così nella paura più grande per l’essere umano, quella di essere esclusi, di rimanere soli. Risulta pertanto essenziale accogliere e accettare queste paure. Nel momento stesso in cui mi accorgo che lo stress arriva per un buon motivo, questo già fa sì che tutta l’ansia e la preoccupazione vengano ben canalizzate.
Il secondo passaggio chiave è avere bene a mente che nei momenti di massimo stress tendiamo a rappresentare nella nostra mente tutto quello che potrebbe succedere di negativo. Così facendo attiviamo meccanismi di difesa, invece il segreto sta nel lavorare per visualizzare il risultato che vogliamo ottenere, ossia la performance ‘perfetta’, che sia un meeting di lavoro, l’interrogazione a scuola o un appuntamento galante.
Risulta quindi essenziale focalizzarsi sui giusti obiettivi senza trovare scusanti
Tra i punti chiave che porto in coaching c’è l’imparare a prenderci la responsabilità della nostra vita e dei nostri risultati. Tutte le volte che vengono messe in ballo scusanti è un modo di cedere il potere personale all’esterno. Invece, per quanto sia più faticoso, gli ostacoli esterni non devono arrivare a toglierci potere, anzi vanno usati come stimolo per portare a casa il miglior risultato possibile. Altri punti chiave sono l’imparare a guardare quello che c’è, attingendo ai nostri punti di forza, e costruire sogni potenti senza porsi limiti. Altrettanto importante è stare nel flusso in quanto scollarsi dal momento presente porta fuori sincronia.
Come l’ambiente del team di lavoro può condizionare, in positivo o negativo, il tuo successo?
In generale non si arriva mai ad affermarsi in qualcosa di importante senza una squadra o un team di lavoro dietro. Ogni elemento del team è essenziale. Serve un obiettivo comune da sposare, la voglia di crescere e condizionare i comportamenti positivi in modo da creare un circolo virtuoso. Quando invece si danno feedback su aspetti negativi bisogna essere sempre costruttivi e molto dettagliati in modo da aiutare la persona a far emergere quella che può essere la soluzione o su cosa andare a lavorare per migliorare. Il successo passa anche da momenti di condivisione, dalla libertà di esprimere le proprie opinioni e sentirsi partecipi della crescita di tutta la squadra.
Gestire un fallimento così come un grande successo, due facce della stessa medaglia?
Esatto. Partiamo dalla gestione del fallimento. Bisogna darsi innanzitutto del tempo per accettare il dolore e la frustrazione; a nessuno piace perdere, quindi fermarsi è un primo step indispensabile; poi analizzare quello che è successo e domandarsi se si è fatto tutto il possibile: se la risposta è ‘no’, bisogna capire in cosa si può migliorare e costruire un piano di azione per arrivare preparati alla sfida successiva; se invece la risposta è ‘si ho fatto tutto il possibile’, allora è il caso di valutare serenamente su cosa sono stati migliori e individuare su cosa lavorare.
Passando invece alla gestione del successo, è importantissimo festeggiare e godersi il risultato. Subito dopo arriva il momento di porsi nuovi obiettivi altrettanto stimolanti. L’esempio calzante è quando con Marcell Jacobs abbiamo dovuto affrontare i passaggi successivi alla vittoria della medaglia d’oro alle Olimpiadi, ossia il sogno della sua vita. In questi casi è essenziale lavorare a fondo per scovare nuovi obiettivi altrettanto stimolanti.
La consapevolezza è alla base di tutto in modo da non lasciare che un successo ci cambi. Altra cosa importantissima è sapere che ovviamente l’altra faccia della medaglia del successo è la quantità di pressioni esterne e interne che porta in dote. Questo può essere devastante se non sei in grado di gestirle. Non farsi condizionare è essenziale per mantenere l’equilibrio e il controllo della situazione.
Non è mai troppo tardi per far emergere dei propri talenti o c’è una fascia d’età in cui è più facile emergere?
Durante tutta la nostra vita possiamo scoprire quali sono i nostri talenti. Io continuo a scoprire nuovi miei talenti perché mi pongo nuove sfide che mi aiutano a scoprire parti di me che nemmeno conoscevo.
Cosa si può fare di più per agevolare i talenti nelle nuove generazioni?
Intanto è importante aprire le menti e renderci conto che il lavoro mentale può fare veramente la differenza. Chiedere aiuto a qualcuno non deve essere più visto come una debolezza, ma anzi un atto di forza. In secondo luogo, tutte le persone che guidano le altre persone – quindi insegnanti o allenatori – dovrebbero avere una formazione base di psicologia e di comunicazione. La mia sfida personale è portare il coaching nelle scuole e vedere cosa succede se ragazzi così giovani imparano concetti così potenti. A mio avviso sono progetti che portano valore a livello di gestione emozionale e dello stress scolastico.