Il punto sulla Riforma Cartabia
Dopo sei mesi dall’entrata in vigore della riforma Cartabia è utile fare il punto. La riduzione del numero dei procedimenti giudiziari e l’abbreviazione dei tempi per la loro conclusione erano tra gli obbiettivi primari della riforma.
In questi sei mesi il primo obbiettivo è stato raggiunto, ma per motivi di cui nessun giurista può andare fiero. L’entrata in vigore di una procedura completamente nuova e la mancanza di linee guida dei Tribunali hanno, infatti, fatto desistere la maggior parte degli avvocati dal depositare ricorsi contenziosi fino alla fine del mese di luglio 2023, quando finalmente sono state pubblicate – almeno per quanto riguarda il foro milanese – le Indicazioni operative per la redazione degli atti in materia di famiglie e minori. Vero che nell’urgenza alcuni colleghi pionieri avevano adito qualche Tribunale, ma il provvedimento di inammissibilità di un ricorso romano circolato sul web era bastato a bloccare i più da ogni avventata iniziativa.
Sul fronte dei ricorsi congiunti, per mesi non vi sono state sindicazioni chiare sulla necessità o meno di allegare la disclosure completa sulla propria situazione reddituale e patrimoniale nonché il documento chiamato “piano genitoriale” relativo alla organizzazione e al tenore di vita goduto dai figli in costanza di convivenza con entrambi i genitori, documenti espressamente previsti e richiesti dall’art. 473bis -12) nei procedimenti contenziosi. Il nuovo rito impone che si “giochi a carte scoperte” e il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 473-bis 18) è valutato ai fini della decisione, ma in caso di accordo raggiunto che senso poteva avere per il Giudice disporre di così tanta documentazione? Non bastava dare atto nel ricorso congiunto delle condivisione della disclosure nel corso della trattativa? Per mesi le Cancellerie non hanno chiarito il dubbio, e nel dubbio i clienti hanno preferito attendere piuttosto che condividere documentazione sensibile.
Solo dal settembre – almeno per quanto riguarda il foro milanese – è stata esclusa la necessità del deposito di tale documetazione. Ma ancora. Un altro motivo di attesa nel deposito dei ricorsi congiunti era il conflitto di decisioni in merito alla possibilità di articolare domanda di separazione e divorzio nello stesso ricorso congiunto. Fedele al principio di “economia processuale”, infatti, la riforma Cartabia ha espressamente previsto la possibilità per i coniugi, che hanno preso atto della irreversibilità della loro crisi coniugale, di articolare in sede contenziosa la richiesta di divorzio nel medesimo atto con il quale chiedono la separazione, con un risparmio dei tempi e dei costi di causa. Ne deriva che ricorrente e convenuto – nel primo atto difensivo, come fosse una domanda riconvenzionale “sui generi” – possono già articolare la domanda di divorzio che verrà presa in considerazione dal Giudice solo una volta passata in giudicato la sentenza di separazione. Appena entrata in vigore la norma è sorto però il dubbio: questa norma andava applicata alla lettera e quindi solo per i procedimenti contenziosi? Oppure era ammissibile il cumulo di domande di separazione e divorzio anche nei ricorsi congiunti regolati all’art. 473-bis 51? Nel dubbio, la maggior parte dei Tribunali italiani non hanno accettato il deposito dei ricorsi con il cumulo di domande. Oggi, però, la questione è stata chiarita: con la sentenza n. 28727 pubblicata in data 16 ottobre 2023 la Cassazione ha sancito l’ammissibilità del cumulo tra divorzio e separazione con indubbi vantaggi sia per i coniugi che per i Tribunali.
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