La disciplina della residenza fiscale è stata oggetto di una recente modifica normativa ad opera dell’art. 3, comma 1, lett. c) della Legge n. 111/2023 che ha rivisto i criteri di determinazione sia per le persone fisiche (art. 2, comma 2 del Tuir) che per le persone giuridiche (art. 73 del Tuir).
Rinviando le riflessioni circa la portata della novella legislativa a un separato intervento, il presente contributo è dedicato all’esame del concetto di residenza fiscale e delle possibili implicazioni ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro con riferimento alle operazioni di conferimento in società, tenendo conto di alcune recenti posizioni espresse dalla Corte di Cassazione.
Principi comunitari e libertà fondamentali: le implicazioni sulla residenza fiscale
Tra le libertà fondamentali riconosciute all’interno dell’Unione europea per la tutela del mercato unico, vi è quella relativa allo stabilimento di un soggetto in uno Stato membro diverso da quello di origine per l’esercizio, in tale secondo stato, di una attività economica.
Tra i fattori di ostacolo alla libertà di stabilimento può rientrare la previsione di imposte, dirette e indirette, che colpiscano il soggetto “stabilito” diversamente dal soggetto “nazionale”.
Proprio con riferimento alle imposte indirette, si segnala che la direttiva comunitaria del 12 febbraio 2008, n. 7 (nota anche come direttiva “Capital Duty”) impone agli Stati membri di rimuovere alcuni fattori di ostacolo alla libera circolazione nel mercato interno e, quindi, alla libertà di stabilimento e, allo stesso tempo, vietando di assoggettare le società di capitali a qualsiasi forma di imposta indiretta sui conferimenti societari.
La medesima direttiva, peraltro, consente di mantenere l’imposizione sui conferimenti se già prevista dall’ordinamento nazionale al 1° gennaio 2006.
Il concetto di esterovestizione
Sotto altro profilo, però, perché sia tutelato, il diritto di stabilimento non può tradursi in un insediamento solo formale nell’altro Stato ma richiede lo svolgimento di una attività economica effettiva esercitata per una durata di tempo indeterminato. Proprio al fine di reagire a fenomeni di insediamento, nonché di trasferimento di residenza solo formali, gli Stati membri hanno adottato alcune previsioni per attrarre la residenza fiscale all’interno del loro territorio disconoscendo, di fatto, lo stabilimento nell’altro Stato membro. Tipicamente si tratta di previsioni volte a colpire i fenomeni di “esterovestizione”.
Le previsioni dell’ordinamento italiano tra tutela della libertà di stabilimento ed esercizio della potestà impositiva
Conformemente al principio espresso dalla direttiva comunitaria del 12 febbraio 2008, n. 7, la nota IV all’art. 4 della Tariffa, parte I, allegata al Dpr. n. 131/1986 prevede che gli atti di conferimento di beni immobili a favore di società con sede legale o amministrativa in un altro Stato membro dell’Unione europea siano assoggettati a imposta di registro applicata in misura fissa (oggi di 200 euro) anziché proporzionale.
Il fine di tale previsione è quello di assoggettare a tassazione i conferimenti solo nello Stato membro in cui si trova la sede della direzione effettiva della società di capitali al momento dell’operazione e, ciò, al fine di tutelare il diritto di stabilimento.
Occorre a questo punto chiedersi se, anche per l’applicazione di tale norma, si possa richiamare il principio generale di “esterovestizione” che, nell’ordinamento italiano, è specificatamente previsto solo per le imposte sui redditi (art. 73, comma 3 e comma 5 bis del Tuir), così da disconoscere l’applicazione della previsione agevolativa in tutti quei casi in cui lo stabilimento in un altro Stato membro sia solo formale.
La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. V, n. 14485/2024 sulla residenza fiscale
La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 14485/2024 esamina proprio l’applicazione della nota IV all’art. 4 della Tariffa, parte I, allegata al Dpr n. 131/1986 e della tutela del diritto di stabilimento all’interno dell’Unione europea nel caso in cui un soggetto economico sia privo di sostanza economica e organizzativa.
La fattispecie oggetto di causa si riferisce al conferimento di un immobile sito in Italia da parte di una cittadina americana in una società con sede a Edimburgo, all’epoca dei fatti appartenente all’Unione europea.
Dalla ricostruzione fattuale operata in sede di accertamento prima e di giudizio poi, era emerso che di fatto la società fosse stata dotata di un capitale sociale esiguo, non possedesse altri beni oltre all’immobile in Italia e che lo stesso fosse stato a disposizione della socia cui erano tra le altre cose intestate le utenze.
Implicazioni della sentenza sulla tutela del diritto di stabilimento
Le motivazioni della sentenza sono di particolare interesse perché, anzitutto, confermano il principio già fatto proprio dalla Suprema Corte (Sez. V, sentenza n. 3386/2024) secondo cui l’esterovestizione è principio con valenza generale e deve poter essere applicato anche ai fini dell’imposte indirette, tra cui, appunto, quella di registro.
In secondo luogo, poi, lo stabilimento può essere disconosciuto laddove il soggetto non svolga alcuna attività economica effettiva e la localizzazione nello Stato estero sia, invece, un dato meramente formale.
E la prova dello stabilimento “fittizio” può essere assunta da tutti gli elementi che rispondano al requisito di gravità, precisione e concordanza, nel rispetto dell’art. 2729 c.c., in tema di presunzioni.
Conclusioni
In conclusione, il principio di libera circolazione nel mercato unico deve essere conciliato con lo svolgimento di una attività economica effettiva non essendo meritevole di tutela uno stabilimento solo formale e ciò vale, secondo la Corte di Cassazione, anche ai fini dell’imposta di registro.