Gli esponenti del settore chiedono di portare dal 37 al 50% la quota di investimenti del Recovery and resilience facility volti a sostenere progetti favorevoli al clima
Occhi puntati su una tassonomia per la finanza sostenibile e sull’elaborazione di una lista di attività economiche incompatibili con il taglio di emissioni del 55% entro il 2030 e con la neutralità carbonica entro il 2050
Edo Ronchi: “Puntiamo a evitare che da una parte si spenda per tutelare il clima e l’ambiente e dall’altra si finanzino con le risorse europee misure che finiscano per danneggiarli”
In attesa della negoziazione relativa alla versione finale del pacchetto di ripresa europeo post-covid attesa per il mese di novembre, l’emergenza climatica scuote gli animi di cento esponenti di imprese e associazioni del settore italiane. In un appello rivolto ai parlamentari, ai rappresentanti del governo del Belpaese e ai membri del Parlamento europeo, i firmatari sottolineano come la “transizione verso un’economia ambientalmente sostenibile e climaticamente neutrale” rappresenti “una sfida epocale che cambierà il sistema energetico e i nostri modelli di produzione e consumo in tutti i settori”. E le risorse comunitarie dovrebbero partire proprio da qui.
“I pacchetti di stimolo per la ripresa dalla recessione causata dalla pandemia, come ribadito in sede europea, devono dedicare una parte adeguata dei finanziamenti ai rilevanti investimenti necessari per la transizione alla neutralità carbonica e non devono danneggiare il clima e l’ambiente”, si legge nella nota. Di conseguenza, spiegano gli esponenti del settore, è necessario supportare con una maggiore incisività l’ambizione climatica, portando dal 37 al 50% la quota di investimenti del Recovery and resilience facility volti a finanziare progetti favorevoli al clima. Si parla, in particolare, della contrazione delle emissioni del 55% entro il 2030, dell’obiettivo net-zero entro il 2050, ma anche della mobilitazione di “350 miliardi di euro all’anno di investimenti per il clima e l’energia a livello europeo, stimati dalla Commissione Europea”.
In seconda battuta, si reclama poi l’adozione di una
metodologia chiara per identificare gli investimenti favorevoli al clima, come quella definita dal Regolamento 2020/852 per la
Tassonomia per la finanza sostenibile. E, infine, l’introduzione di
un elenco di attività economiche che non potranno accedere alle risorse del Recovery and resilience fund perché incompatibili con gli obiettivi relativi al taglio delle emissioni del 55% nei prossimi 10 anni e alla neutralità carbonica nei prossimi 30. Tra i firmatari emergono figure del mondo della finanza, da
Oscar di Montigny (chief innovability & value strategy officer di Mediolanum) a Matteo Del Fante (amministratore delegato di Poste Italiane), ma anche del settore dell’energia come Francesco Starace (amministratore delegato di Enel) e Nicola Monti (amministratore delegato di Edison).
“Puntiamo ad avere un buon piano per la ripresa e quindi a evitare che, da una parte, si spenda per tutelare il clima e l’ambiente e, dall’altra, si finanzino con le risorse europee anche misure che finiscano per danneggiarli”, spiega Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Gli investimenti nelle misure per il clima vanno aumentati perché hanno anche un grande potenziale di trascinamento economico e occupazionale in vari settori: nella produzione di energia rinnovabile, nel risparmio energetico negli edifici e nell’industria con l’economia circolare, e nel cambiamento per una mobilità più sostenibile”. Poi conclude: “Senza trascurare di finanziare anche misure di adattamento climatico che riducano la vulnerabilità delle città alle alluvioni e alle ondate di calore”.
Gli esponenti del settore chiedono di portare dal 37 al 50% la quota di investimenti del Recovery and resilience facility volti a sostenere progetti favorevoli al climaOcchi puntati su una tassonomia per la finanza sostenibile e sull’elaborazione di una lista di attività economiche incompatibili con…