C’è ancora spazio perché i mercati scendano. O almeno così la pensano gli orsi che abitano Wall Street. Fino a dove si possono spingere gli indici azionari? Come riporta Marketwatch, in una nota di giovedì, Nicholas Colas, cofondatore di DataTrek Research, ha delineato quattro scenari di ribasso per l’S&P 500 che gli investitori dovrebbero, perlomeno, prendere in considerazione.
3.386 – “l’ultimo massimo pre-pandemia”.
Sia l’indice MSCI EAFE, che misura la performance dei mercati azionari sviluppati al di fuori di Stati Uniti e Canada, sia l’indice azionario dei mercati emergenti, hanno scambiato al di sotto dei livelli di inizio 2020. “Se i titoli del ‘resto del mondo hanno già bruciato i guadagni della pandemia, perché le large cap statunitensi dovrebbero essere diverse?” si chiede Colas.
3.236 – “proiezione basata sui rendimenti di più lungo periodo”
Secondo Colas, il peggior tasso di crescita annuale composto dell’S&P 500 in 20 anni dalla Grande Depressione è stato il periodo dal 1999 al 2018, con il 5,6% annuo. Se questa è un’ipotesi di rendimento “equo” per gli ultimi cinque anni, si noti che l’S&P 500 ha chiuso a 2.465 il 7 settembre 2017. Applicando lo stesso rendimento, l’S&P 500 dovrebbe ora quotare a 3.236 punti.
3.000 -“cifra tonda”
“Non solo 3.000 corrisponde a una cifra tonda, ma è anche il punto in cui l’S&P ha chiuso il 30 settembre 2019 (2.977)”, osserva Colas. “Era poco prima che l’indice facesse un rally del 14% verso i massimi di febbraio 2020, quindi questo potrebbe essere una rappresentazione più accurata del fair value di lungo periodo”.
2.600 – “- 35% rispetto ai livelli attuali”.
Storicamente, l’S&P 500 è sceso in media del 25% in occasione di una recessione statunitense, il che porterebbe oggi l’earning power value dell’indice a 171 dollari per azione. Se si considera un rapporto P/E di 15, e ipotizzando che i tassi d’interesse rimarrano tra il 4% e il 5%, e comprimendo le valutazioni azionarie, l’S&P dovrebbe prezzare a 2.565 punti.