Rispetto a inizio anno i tassi d’interesse sui fondi federali sono aumentati di altri 75 punti base, e altri rialzi sembrano già messi in conto dai trader per la prossima riunione di luglio. Eppure, sono state proprio le azioni tecnologiche americane le grandi vincitrici dei mercati nella prima metà del 2023. Il Nasdaq Composite, un indice fitto di titoli tecnologici che solitamente soffrono gli aumenti dei tassi d’interesse, ha messo a segno un balzo superiore del 30% da gennaio al 29 giugno, battendo di misura l’altra grande rivelazione di questi primi sei mesi, l’indice azionario giapponese Nikkei 225.
La corsa delle intelligenze artificiali, entrate nella quotidianità di lavoro con ChatGpt e le alternative elaborate da Google e Microsoft, hanno spinto su performance stellari alcune delle massime società tecnologiche: l’azione Nvidia, cruciale nella produzione di chip utilizzati nell’Ia, ha guadagnato il 179% al 29 giugno, conquistando la vetta delle migliori azioni nell’indice S&P 500.
Per il Giappone, come ricostruito all’Ecb Forum dal governatore della banca centrale, Kazuo Ueda, la rimozione dei vincoli legati alla pandemia e il vantaggio a breve termine legato allo spostamento di alcune catene di fornitura dalla Cina avrebbero favorito l’entusiasmo sulle azioni nipponiche. Anche Warren Buffett ha aumentato la sua esposizione al Paese, mentre si attende che lo yen possa beneficiare di una possibile stretta monetaria – che però Ueda non vede prima del 2024.
Azionario europeo un po' meno brillante, ma Milano avanza
Per le azioni europee le performance sono state meno generose rispetto a quelle statunitensi, ma il Ftse Mib è avanzato molto più in fretta dell'indice di riferimento europeo, l'Euro Stoxx 600. Sul Podio di Piazza affari svetta il titolo Unicredit, con una performance del 68%, seguita da Ferrari e Iveco. Fra le banche, segue al quarto posto Bper, con un progresso del 45,3%.
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L'obbligazionario, come già raccontato in un precedente articolo, no ha visto un grande ritorno assoluto a livello globale, complice un'inflazione di fondo più persistente del previsto che ha prolungato l'impostazione restrittiva di Bce, BoE e Federal Reserve. Secondo l'indice aggregato globale di S&P, l'obbligazionario a rating elevato ha reso complessivamente poco più del 2% da inizio anno.
La vera delusione di questo primo parziale, considerate le premesse sulla carta molto promettenti, è stata la Borsa cinese, con un indice Csi 300 in territorio negativo. Le prospettive della crescita cinese sono state riviste al ribasso dagli analisti: ormai appare unanime il consenso su un incremento del Pil inferiore al 6%, a causa di consumi interni in rallentamento. Il destino del mercato cinese sembra legato alle mosse di politica fiscale e monetaria che dovrebbero inserire qualche stimolo: a giugno la Pboc è già intervenuta tagliando di 10 punti base il repo rate.
Il mercato indiano, dopo un 2022 più solido rispetto alla maggioranza delle altre Borse mondiali, è rimasto indietro a Usa ed Europa, con un indice Sensex in aumento del 5,8% da inizio anno. Negli ultimi 12 mesi, comunque, l'India è stata un buon investimento se si considera che la performance al 22,3% è nettamente superiore a quella realizzata dall'S&P 500 nello stesso periodo (17,25%).
Oro e petrolio, due storie diverse
Sul fronte delle materie prime, l'oro ha mantenuto un livello prossimo a nuovi record per alcune settimane fra aprile e maggio: per il momento l'ipotesi che la Fed possa tornare ad abbassare i tassi entro il 2023 appare sfumata e con essa le chance che l'oro possa vedere un nuovo massimo storico. Anche lo slancio della crisi delle banche regionali Usa, che aveva dato slancio al bene rifugio per eccellenza.
Per il petrolio la prospettiva di una crescita cinese più bassa sta deprimendo in modo persistente le quotazioni del barile Brent, che da inizio anno ha perso circa il 13%, nonostante i tentativi dell'Opec+ di restringere l'offerta. Dall'andamento dell'economia cinese si attende una larga parte della domanda aggiuntiva di greggio nel 2023.