Le sfide del passaggio generazionale nelle imprese familiari
In Italia solo il 30% delle imprese familiari sopravvive al primo passaggio generazionale e appena il 13% arriva alla terza generazione. Numeri impressionanti se si considera che il “family business” rappresenta il 90% del tessuto produttivo italiano, impiegando il 75% dei lavoratori.
È bene chiarire l’ambiguità tra successione e continuità. La successione è un evento istantaneo che determina il passaggio di proprietà; la continuità è invece un processo di trasferimento di valori da una generazione all’altra. La successione non garantisce la sopravvivenza dell’azienda, mentre la continuità ne è l’essenza. I figli ereditano la proprietà, non la capacità di fare impresa come ha affermato Brunello Cucinelli.
Ce lo conferma Emanuele Lumini, dottore commercialista e business mentor, esperto di passaggi generazionali, nonché autore della business novel “La regola di Gio”.
Cos’è impresa familiare
Dottor Lumini da cosa è caratterizzata un’impresa familiare?
Clienti, fornitori e dipendenti a parità di condizioni preferiscono lavorare nelle imprese familiari, perché un’azienda familiare è un posto dove si respira una forte visione imprenditoriale. Questa attiva il senso di appartenenza che contamina tutta l’organizzazione. Le imprese familiari a parità di condizioni, performano meglio, non solo in termini di risultati economici ma in termini di benessere. Una recente analisi riporta che il numero di società benefit in Italia è triplicato nelle aziende familiari ed è solamente raddoppiato nelle aziende non familiari. Le aziende familiari sono quindi portatrici di valori che vanno al di là del puro fare soldi.
La convivenza di due sistemi: impresa e famiglia
Quali sono le criticità di un modello imprenditoriale che è fortemente basato sulle relazioni familiari?
Nell’azienda familiare c’è un ulteriore complessità rispetto a un’azienda “normale”. Perché devono convivere due sistemi: quello dell’impresa e quello familiare. Quando questi due sistemi sono in equilibrio, si rispettano e si danno energia reciproca, ecco che allora si raggiungono dei risultati positivi e quindi non ci sono contaminazioni negative.
Ma se in questi due sistemi prevale ad esempio la famiglia sull’azienda, ecco che sorgono problemi. Se la famiglia lottizza l’impresa vediamo i giovani figli che utilizzano l’azienda come se fosse un bancomat. Oppure far valere la regola che solo ed esclusivamente i membri della famiglia possono lavorare nelle posizioni apicali. Oppure se il figlio ha un trattamento economico particolare e non viene premiato per il merito, ecco che si scoraggiano altri collaboratori. È un equilibrismo importante che richiede un aumento di capacità nel governare queste complessità.
Il rischio di fallimento nel passaggio generazionale: i numeri
Come si comportano le diverse generazioni in un’azienda familiare?
Con la prima generazione l’impresa esplode, l’imprenditore è al centro e governa tutto. Ma quando si passa la palla ai ragazzi della seconda generazione spesso questi non riescono a mantenere quella energia e quella capacità che aveva il fondatore e che servono per poter portare avanti la complessità. Talvolta non hanno gli strumenti o le capacità per gestire l’eredità della prima generazione.
Cosa succede in questi casi?
Il 30% delle imprese familiari sopravvive al primo passaggio e solo il 13% arriva al terzo. Le aziende chiudono perché non c’è nessuno che va avanti e spesso sono aziende che non vengono nemmeno vendute. Quindi finisce tutto con una perdita economica pazzesca, sia economica che della curva di esperienza del know-how. Un conto è avere un’azienda già funzionante, un conto invece è fare ex novo l’avviamento. Sicuramente la consapevolezza di queste dinamiche è migliorata, ma manca l’approccio e manca anche la consulenza adeguata per affrontare queste tematiche.
Il ruolo della cultura imprenditoriale nel successo o fallimento
Quanto impatta la cultura dell’imprenditore?
Anche con un alto livello culturale l’imprenditore personalizza l’azienda. Può avere difficoltà a capire che lui non è l’azienda e che l’azienda può sopravvivere anche senza di lui. Si chiama la “trappola del fondatore”, dove lui va avanti a lavorare fino a 78 anni e va al massimo … almeno finché dura.
Quali sono le convinzioni limitanti delle due generazioni che fanno sì che succeda quello che ha appena raccontato?
Il padre rimane una sorta di congelamento, non ce la fa a prendere la decisione. E più passa il tempo più si rende conto che non ha più nemmeno l’energia per farlo. Dall’altra parte ci sono i junior, che non fanno quel passo in più per forzare il padre-padrone a cedere il comando.
Quali sono le condizioni perché i figli possano poter portare avanti l’azienda?
I senior devono mettere nella condizione di farlo i junior. Ovviamente, prima ancora devono volerlo fare. Anche i figli devono desiderare la grande opportunità di dare una continuità al progetto familiare e anche verificare se ne hanno la capacità in termini di competenze manageriali e organizzative. Infatti a volte il passaggio generazionale viene visto come un piano B, oppure come qualcosa di inevitabile per il figlio, ma di cui non è veramente convinto emotivamente.
E questa situazione attiva un corto circuito. Perché poi il senior, vedendo un figlio non così motivato e non così performante, è portato a lasciargli sempre meno responsabilità. Invece laddove il processo viene gestito dall’inizio con progettualità, si riesce a parlare dei fattori critici con tranquillità, ad analizzare se il junior ha le competenze per poter andare avanti l’azienda. E se la famiglia non è in grado di portare avanti la continuità dell’azienda, allora può diventare azionista oppure vendere.
Casi studio: Benetton e Del Vecchio
Quali sono i casi noti da cui posiamo imparare?
Una delle principali criticità nella successione Benetton è stata la mancanza di una chiara strategia di successione. I membri della seconda generazione non sono stati preparati adeguatamente a prendere le redini dell’azienda, né a livello gestionale né strategico. Questa carenza ha portato a decisioni poco coerenti con la visione originaria dell’azienda e a un indebolimento della leadership interna.
Oppure, per passare a un altro esempio, non è stato ancora deciso chi all’interno della famiglia Del Vecchio proseguirà nella gestione del gruppo, ma Leonardo Maria Del Vecchio, con la parte di eredità che ha ricevuto, sta dimostrando di avere delle altitudini nel gestire l’impresa. Teniamo conto che lui ha sempre avuto una vicinanza particolare col padre e quindi ha assorbito la sua cultura imprenditoriale.
Le tre regole fondamentali per un passaggio generazionale efficace
Quali sono le tre regole fondamentali da considerare nel passaggio generazionale?
- 1) Va capito che in un mondo in cui tutto corre molto veloce, il passaggio generazionale è lento e quindi bisogna avere pazienza.
- 2) Va programmato e non va abbandonato. Non è un programma statico, le parti devono verificare come sta andando e fare tutti gli aggiustamenti del caso.
- 3) Va attivata la sinergia tra junior e senior, per lavorare insieme e non in competizione.
La sinergia tra le varie generazioni
Quali sono i tentativi che si possono fare per attivare questa partnership tra due generazioni diverse, che per definizione sono in conflitto?
Si basa tutto su un dialogo empatico. Il facilitatore ha un ruolo molto importante, far comprendere le difficoltà reciproche: far capire al junior che cosa significa per un padre dover lasciare, e far capire anche a un padre cosa significa a un ragazzo giovane affrontare determinati temi.
Le conseguenze di un mancato processo strutturato di successione
Cosa succede se non si attuano le 3 regole illustrate poco fa?
Bisogna affrontare altri tipi di scenario e quindi trovare alternative rispetto alla continuità familiare. Perché realizzare un passaggio generazionale senza un’adeguata strutturazione del processo è sinonimo di fallimento.
Il profilo ideale di chi accompagna il passaggio generazionale
Che profilo deve avere chi accompagna le imprese familiari?
Non può essere un tecnico, né basta lo psicologo. È una figura che deve conoscere le dinamiche aziendali e i modelli di gestione aziendale, ma deve anche avere una buona capacità di relazione, di superare i conflitti e di rendere verosimile un progetto che magari sulla carta sembra molto difficile. Qualcuno che riesce a capire cosa c’è dietro, che riesce a parlare un po’ al cuore delle persone per muoverle nella direzione più auspicabile. Affianca l’impresa nel suo percorso, offrendo supporto in aree chiave come la successione, la governance familiare, la gestione dei conflitti e lo sviluppo della leadership, nella consapevolezza che ogni decisione può avere ripercussioni sia sui rapporti interni alla famiglia sia sul futuro dell’azienda.
Quanti sono i colleghi come lei che hanno questo atteggiamento?
Siccome è un lavoro anche abbastanza complicato e richiede tanta energia, spesso i colleghi dicono “ma chi te lo fa fare … fai il tuo lavoro tecnico e porta a casa la tua parcella. E poi non sei un mediatore familiare”. Ma se dopo, il processo di successione torna indietro e fallisce il passaggio razionale, io mi chiedo se ho fatto un buon lavoro. Quindi siamo in pochi ad avere questo approccio olistico. Evidentemente non è per tutti. Devo ricordare che il tema della consulenza alle imprese familiari ha assunto un livello cosi importante che l’università Bocconi ha istituito la Cattedra Aida-Ey di Strategia delle aziende familiari.
In conclusione dottor Lumini, qual è la prima mossa che dovrebbe fare un imprenditore che vuole valutare un passaggio generazionale?
Dovrebbe rispondere a queste 2 domande:
- 1 – Qual è il bene che posso fare per la mia azienda?
- 2 – Qual è il futuro che voglio per la mia azienda?
Queste domande attivano sicuramente una riflessione. A volte si riesce a rispondere da soli. A volte si ha bisogno, invece, di una guida esperta come il business mentore che è poi un commercialista con vocazione umanista. In sostanza un (utilissimo) ossimoro!