Finanza comportamentale: tanti ne parlano, molti meno la conoscono e ancor più rari quelli che la applicano nel loro lavoro di consulente finanziario. Insomma, dedicare a questo tema la due giorni fiorentina dell’Efpa Italia Meeting non sembra essere superfluo, considerando le evidenze presentate, in questa cornice, in una nuova ricerca condotta da Finer. Il tema è spesso considerato centrale nella gestione delle aspettative e delle reazioni degli investitori rispetto all’andamento di mercato, perché vari pregiudizi cognitivi e comportamentali allontanano le decisioni dall’essere pienamente razionali ed efficaci. Il 66% dei consulenti finanziari dice di conoscere i principi della finanza comportamentale, ma fra questi solo un terzo la applica davvero nel suo lavoro. Fra gli investitori finali le percentuali sono ancora più basse: meno di un investitore su cinque conosce questo tema e, anche in questo caso, solo in un caso su dieci applica questi principi.
I più preparati sul tema sono gli investitori appartenenti alle generazioni più anziane, i più istruiti e quelli con superiori livelli patrimoniali e più bancarizzati.
Per quanto riguarda il campione dei consulenti (5.390 gli intervistati in questo segmento), disporre di una certificazione Efpa si è dimostrato un fattore correlato con una migliore conoscenza dell’argomento (il 79% dei certificati conosce la finanza comportamentale contro il 65%), così come un’età più giovane e, dunque, studi accademici più recenti.
Un terreno utile, ma ancora inesplorato
Applicare la finanza comportamentale, per la minoranza di consulenti che effettivamente lo fanno, vuol dire innanzitutto utilizzarla per relazionarsi con il cliente (79%), più che per guidare le scelte di investimento (21%). La finanza comportamentale “rimane ancora, nel migliore dei casi, un argomento ideale che non trova poi azioni concrete”, ha commentato Nicola Ronchetti, Founder & CEO di Finer Finance Explorer, “quindi c’è un enorme potenziale”. Infatti, i dati della ricerca mostrano che i consulenti che applicano la finanza comportamentale la trovano molto utile (45%) o abbastanza utile (36%).
Gli errori comportamentali più rilevati in Italia? Nessuna sorpresa: l’avversione alle perdite domina la classifica, seguita dall’effetto gregge, ossia la tendenza a muoversi come fanno gli altri. Fra gli investitori più facoltosi l’avversione alle perdite aumenta ulteriormente rispetto alla media, mentre nel segmento affluent c’è una maggiore incidenza dell’inerzia (continuare sempre sulla base di schemi del passato). Fra i giovani, invece, millennial e anche generazione X, l’eccesso di fiducia è un bias comportamentale nettamente più frequente (superiore al 50%).
“C’è un ampio spazio per far crescere la conoscenza della finanza comportamentale, ma ancora di più per utilizzarla negli ambiti di applicazione corretta”, ha affermato Ronchetti, “l’ambito di applicazione va esteso dal dialogo alla costruzione di portafoglio”. Un esempio di applicazione pratica? Nel valutare le reazioni emotive dei clienti, l’equilibrio fra guadagni e perdite non va calcolato con una semplice somma algebrica: “Il peso delle perdite, le ricerche lo mostrano da anni, è oltre doppio rispetto all’effetto emotivo dei guadagni”, ha ricordato il professor Enrico Maria Cervellati, founder & CEO di EMC³ Solution. Che fare? “Prendete il portafoglio del cliente che, all’interno, ha segni più e segni meno e a fianco di questi ultimi aggiungete un x2: sarete molto più vicini all’equilibrio emotivo dei vostri clienti”.
Il bias comportamentale della politica? Rimandare a domani la transizione
Spazio anche per il direttore scientifico dell’Asvis, Enrico Giovannini, in questa seconda giornata di lavori, per fare il punto sulla transizione energetica e sui pericoli di rallentare gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. A “chi dice che queste questioni sono ideologiche”, Giovannini ricorda un dato: “300.000 morti premature all’anno per malattie legate all’inquinamento è come una guerra in Europa ogni anno”.
A una nostra domanda sulle critiche arrivate in campagna elettorale europea sui tempi stretti per adeguare le case green e la fine dei motori endotermici per l’automotive, Giovannini ribatte chiedendo dati a chi propone di cambiare i tempi: “Anche se si considera la stima più pessimista sull’impatto occupazionale sul settore automobilistico, pari a oltre 60mila posti di lavoro a rischio, va considerato che da qui al 2025 ci sono migliaia di morti premature da inquinamento ogni anno: la politica deve prendere una decisione sulla base di questi dati”.
Eppure, i nessi causali fra le morti e la perdita di un posto di lavoro sono molto più chiari, tuttavia, nel secondo caso, e la politica potrebbe facilmente scegliere di proteggere il lavoro. E rimandare a domani i cambiamenti.
“La società e molte imprese, non tutte, sono nettamente più avanti della politica” nel sostenere la transizione sostenibile. “Dove sono le resistenze maggiori? Negli uomini oltre i 50 anni, perché noi economisti, negli ultimi 40 anni, li abbiamo formati con un’economia sbagliata, profondamente sbagliata, insostenibile”.
L’aspetto scomodo, tuttavia, è che nell’immediato lo scenario di semplice transizione energetica, che non coinvolge una più ampia trasformazione, “riduce il PIL e riduce l’occupazione da qui al 2050”, perché se “vogliamo usare il capitalismo per cambiare il mondo, dobbiamo cambiare i prezzi relativi” e introdurre “forme di carbon tax, il che provoca inflazione, riduce i consumi e quindi anche la crescita economica”. È il tema di questo Efpa Italia Meeting 2024: assumere una visione di lungo periodo, che può anche comportare una tolleranza di perdite a breve termine.