A febbraio, quando ancora gli effetti economici della guerra in Ucraina non potevano dirsi incorporati, l’inflazione statunitense è salita ad un tasso annuo del 7,9%
Nel frattempo, il tasso di disoccupazione statunitense è sceso dal 4 al 3,8% a febbraio, fornendo nuovi segnali di forza sul mercato del lavoro
A febbraio, quando ancora gli effetti economici della guerra in Ucraina non potevano dirsi incorporati, l’inflazione statunitense è salita ad un tasso annuo del 7,9%, con un indice di fondo, quello che esclude le componenti più volatili come l’energia, attestatosi ad un +6,4%. L’aspettativa che l’inflazione sarebbe rientrata dopo il picco invernale si è decisamente ridimensionata ora che sono decollati i prezzi di petrolio, gas, carbone e di altre materie prime che incidono sui costi di produzione dell’intera economia.
Nel frattempo, il tasso di disoccupazione statunitense è sceso dal 4 al 3,8% a febbraio, fornendo nuovi segnali di forza sul mercato del lavoro. Anche questo elemento, che accresce la forza contrattuale dei lavoratori facilitando loro il compito di negoziare retribuzioni più alte, incoraggia una forte sterzata restrittiva alla politica monetaria. Aumentare i tassi nel corso dell’anno dovrebbe contribuire ad abbassare la domanda, sacrificando una porzione della crescita economica per mantenere sotto controllo gli aumenti dei prezzi. Ma non sarà un processo indolore.
“Le attese sul rialzo dei tassi di interesse sono abbastanza scontate con un incremento di 25 punti base del costo del denaro negli Stati Uniti come affermato dal presidente del Federal Reserve System Jerome Powell nelle audizioni al Congresso. L’incertezza rimane quindi solamente sulle prossime azioni della Fed in politica monetaria”, ha commentato a We Wealth Filippo Diodovich, senior market strategist di IG.
“A nostro avviso i banchieri centrali statunitensi non prenderanno impegni e decideranno di tenere i piani molto flessibili, non escludendo anche un’accelerazione delle misure restrittive (come rialzi superiori ai 25 punti base) nelle prossime riunioni per fronteggiare in modo più efficiente le pressioni inflazionistiche”, ha affermato Diodovich. “L’andamento dell’indice dei prezzi al consumo sarà il principale segnale per capire le prossime mosse della principale banca centrale del mondo, tenendo conto che il mercato del lavoro statunitense è praticamente in una situazione di piena occupazione”.
Nel corso dell’ultima audizione al Congresso, il presidente della Fed si è astenuto dal esprimere un giudizio definito su quello che sarà l’impatto economico della crisi ucraina sulle scelte di politica monetaria. E’ prevedibile che, nel corso della conferenza stampa di mercoledì, Powell sarà incalzato dai cronisti su questo punto. Le sanzioni, infatti, non hanno solo contribuito ad esacerbare le pressioni inflazionistiche, ma anche a peggiorare l’outlook sulla crescita globale. Questo renderà potenzialmente più dolorosa, l’inevitabile contromossa restrittiva da parte della Fed.
“Nei prossimi mesi la Fed potrà avere un’idea più chiara sugli effetti del conflitto in Est Europa e dei nuovi lockdown in Cina sui prezzi al consumo”, ha concluso Diodovich, “le nostre attese rimangono comunque fissate su almeno sei rialzi dei tassi di interesse nel corso del 2022”.