- Quando l’S&P 500 è salito nei tre mesi precedenti al voto, il presidente o il partito in carica è stato tendenzialmente rieletto
- Piuttosto che il voto americano, sono altri gli appuntamenti da segnare calendario che potrebbero innervosire i listini: tra questi, i prossimi meeting della Fed
“Harris mette Trump sulla difensiva in un acceso dibattito”, titolò il New York Times. Sulla stessa scia il Financial Times: “Kamala Harris punge Donald Trump in un vivace testa a testa presidenziale”. Più forte ancora il Washington Post: “Harris domina Trump”. Il primo confronto tra i due candidati alla presidenza americana, trasmesso su Abc News dal National Constitution Center di Philadelphia lo scorso settembre, sembrò avere una chiara protagonista. Stando a un sondaggio condotto da Ipsos, circa due americani su tre (63%) affermarono che la vicepresidente americana avesse vinto il confronto televisivo. Ma a poche settimane dal voto, resta un testa a testa col tycoon; così come restano aperti gli scenari per i mercati finanziari.
Come recentemente analizzato da Schroders osservando l’andamento dell’S&P 500 in prossimità delle elezioni americane dal 1928 a oggi, quando l’indice è salito nei tre mesi precedenti al voto, il presidente o il partito in carica è stato tendenzialmente rieletto. L’ultima volta in cui questa teoria si è rivelata errata risale al 1980, anno che vide la vittoria dell’ex governatore repubblicano della California Ronald Reagan sul presidente democratico uscente Jimmy Carter. Guardando invece al post-elezioni, mediamente i titoli azionari a stelle e strisce sono saliti a tre mesi dal voto, indipendentemente dal vincitore.
Il voto di Wall Street tra favoriti e sfidanti
Fonte: Schroders economics group, Lseg Datastream. Dati al 1° marzo 2024
A esaminare la relazione storica tra le elezioni presidenziali statunitensi e la performance del mercato azionario è anche T. Rowe Price, con una postilla: alcune delle votazioni dell’ultimo secolo si sono tenute in anni in cui i principali sviluppi economici – e non le elezioni stesse – hanno influenzato in misura particolare i mercati azionari. Basti pensare alla Grande depressione del 1932, alla Seconda guerra mondiale del 1939, allo scoppio della bolla tecnologica del 2000, alla crisi finanziaria del 2007-2008, fino alla pandemia da covid-19 del 2020. Fatte queste premesse, T. Rowe Price evidenzia come i rendimenti dell’S&P 500 registrati negli anni delle elezioni siano stati modestamente inferiori rispetto agli anni non elettorali; al contrario, quelli registrati nel periodo precedente alle elezioni presidenziali sono risultati più elevati rispetto agli anni non elettorali. Subito dopo le elezioni, le performance registrate dall’azionario americano il mese successivo, sei mesi dopo e 12 mesi dopo sono state significativamente inferiori rispetto ai periodi corrispondenti degli anni non elettorali.
Una delle ragioni, spiega T. Rowe Price, potrebbe essere legata al fatto che il mercato abbia dato per scontate le promesse dei candidati alla Casa Bianca in campagna elettorale, per poi rimanere deluso osservando quanto accaduto nell’anno successivo alle elezioni. Ma potrebbe esserci anche un’altra spiegazione. Se si guarda alla salute dell’economia nel primo anno di mandato dei presidenti saliti in carica tra il 31 dicembre 1927 e il 31 dicembre 2023, l’arco temporale considerato nell’analisi, nel 54% dei casi si è verificata una recessione. Una percentuale decisamente più alta rispetto agli anni successivi: 29% nel secondo anno di mandato, 17% nel terzo e 25% nel quarto. “In altre parole, il mercato azionario potrebbe aver anticipato o reagito all’indebolimento delle condizioni economiche in prossimità della fine di un anno di elezioni presidenziali, data la maggiore probabilità di una recessione nei 12 mesi successivi”, osservano i ricercatori.
Wall Street: l’effetto elezioni sulla volatilità
Un’altra evidenza dell’analisi di Schroders riguarda la volatilità: a eccezione dei 12 mesi precedenti e del mese immediatamente successivo al voto, l’S&P 500 ha registrato in media una minore volatilità negli anni elettorali e in prossimità di essi, rispetto agli anni non elettorali. Il che sembrerebbe non sorprendere, se si considera il maggior numero di recessioni evidenziate negli anni successivi al voto. Quando il partito in carica non è riuscito a mantenere l’incarico, tra l’altro, l’S&P 500 ha registrato in media livelli di volatilità più elevati prima delle elezioni e nei mesi successivi, forse “a causa dell’incertezza creata dai probabili cambiamenti politici”, si legge nel rapporto. La verità è che queste analisi rappresentano soltanto un pezzo del puzzle, come si evidenziava prima. Anche osservando le ultime recenti oscillazioni dei mercati, il voto americano non ha giocato un ruolo dominante. A titolo esemplificativo, il ritiro di Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca – lo scorso luglio – non ha avuto ripercussioni su Wall Street. Piuttosto che il voto Usa, in altre parole, sono altri gli appuntamenti da segnare calendario che potrebbero innervosire i listini: tra questi, i prossimi meeting della Federal Reserve (che solo quest’anno si riunirà altre due volte, di cui una proprio due giorni dopo le elezioni presidenziali) e della Banca centrale europea.
Articolo tratto dal n° di ottobre di We Wealth.
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