Visualcapitalist, sito di informazione economico informazione, partendo dal caso Facebook ha analizzato quali sono le sei ragioni più comuni che portano le aziende al rebranding
Alla base della decisione di Zuckerberg di cambiare il nome della sua azienda in nome c’è sia la volontà di rompere dal passato recente di scandali sia di guardare al futuro in direzione metaverso
Pressione sociale
Le percezioni sociali possono cambiare velocemente il che pone le aziende ad un bivio: o anticipano questi cambiamenti o saranno costrette ad adattarvisi. Questo è ancor più vero oggi, nell’era degli investimenti esg, in cui le aziende con le esternalità negative più evidenti sono state messe alle strette. Questo è stato il caso, per esempio, di Total e Philipp Morris. Nel caso della prima, il passaggio a TotalEnergies era inteso a segnalare lo spostamento dell’azienda oltre il petrolio e il gas per includere le energie rinnovabili. Un altro caso è stato quello di GMAC (General Motors Acceptance Corporation) che non volendo essere associata ai prestiti subprime e al successivo salvataggio multimiliardario da parte del governo americano, nel 2010 cambiò nome in Ally.
Ripartire da zero
Una seconda ragione valida al rebranding è l’impopolarità del marchio maturata nel tempo a causa di scandali, declino nella qualità o altre innumerevoli ragioni. Quando questo accade, un cambio di nome può essere un modo per convincere i clienti a liberarsi di quelle vecchie connotazioni negative. Negli ultimi anni è stato il caso di molti fornitori di internet e tv, all’ultimo posto nella classifica della soddisfazione dei clienti. Comcast è diventata xfinity, Time Warner Cable ora si chiama Spectrum.
Espansione
Forse la motivazione più comune alla base della decisione delle aziende di cambiare nome. aziende attraversano una rapida espansione o trovano il successo con nuove offerte di prodotti, il rebranding diventa necessario. Sia Apple che Starbucks hanno semplificato i loro nomi aziendali nel corso degli anni. La prima ha eliminato “Computers” dal suo nome nel 2007, e Starbucks ha eliminato “Coffee” dal suo nome nel 2011. In entrambi i casi, il cambio di nome ha significato dissociare l’azienda da ciò che inizialmente ne ha decretato il successo, ma in entrambi i casi è stato un azzardo che ha pagato. Uno dei più grandi cambiamenti di nome degli ultimi anni è stato il passaggio da Google ad Alphabet, riflettendo la volontà della società di espandersi oltre la ricerca su internet e la pubblicità.
Da start-up ad azienda
Un’altra circostanza di rebranding molto diffusa è il passaggio da start-up ad azienda affermata. Nel mondo della musica, c’è la speculazione che le melodie limitate e il plagio inconscio renderanno la creazione di nuova musica sempre più difficile in futuro. Molti dei popolari servizi digitali che usiamo oggi hanno iniziato con nomi molto diversi. Il Google che conosciamo oggi una volta si chiamava Backrub. Instagram ha iniziato la sua vita come Bourbn, e Twitter ha iniziato la sua vita come “Twittr”.
Problemi di copyright
Quanto si dice della musica – ovvero che sarà sempre più difficile creare nuove melodie senza finire in una sorta di plagio inconscio – vale anche per le aziende. Ci sono milioni di aziende, ma alla fine i nomi sono sovente rielaborazione (anche inconscia) di poche idee. Quando la rielaborazione non c’è proprio si pone un tema di copyright. Questo è stato il caso, per esempio, di Picaboo, il precursore di Snapchat, che fu costretto a cambiare nome nel 2011. L’esistente Picaboo – una società di fotolibri – non era entusiasta a condividere il nome con un’app che all’epoca era principalmente associata al sexting. Così la WWE, associazione di Wrestling, a seguito di una causa legale fu costretta ad abbandonare l’iniziale nome WWF per non essere associata alla famosa organizzazione ambientalista.
Correzione di rotta
Errare è umano, e gli esercizi di rebranding non sempre colpiscono nel segno. Quando un cambio di nome viene universalmente stroncato o, forse peggio, non è rilevante, è il momento di correggere la rotta. Tribune Publishing è stato costretto a fare marcia indietro dopo il cambio di nome in Tronc nel 2016. Il nome ampiamente criticato, che era stilizzato in tutte le minuscole, è stato visto come un goffo tentativo di diventare un editore digital-first.