L’arte italiana migliore è in asta da Christie’s (a Parigi). Parola di Mariolina Bassetti
«Abbiamo una grande responsabilità, siamo ambasciatori dell’arte italiana sulle piazze internazionali»: commenta così Mariolina Bassetti, presidente di Christie’s Italia e responsabile per l’arte del dopoguerra e continentale in Europa, la severa politica di selezione che conduce alla formazione del catalogo di Thinking Italian, l’asta «fiore all’occhiello della nostra programmazione». Nel 2024 si terrà il 18 ottobre, a Parigi, nella roboante settimana di Art Basel. I lotti di Arte Povera in catalogo sono un omaggio alla grande mostra della Bourse de Commerce a cura di Carolyn Christov-Bakargiev.
Dr.ssa Bassetti, l’asta “Thinking Italian” di Christie’s dal 2022 non si tiene più a Milano ma a Parigi. È segno dell’indebolimento della nostra piazza?
«Io non la vedrei così: il grande depotenziamento è solo quello di Londra. La Brexit e i conseguenti dazi hanno reso molto più costoso per gli stranieri acquistare opere nella capitale del Regno Unito. Parigi dal canto suo esercita due grandi attrattive. Fa parte dell’Ue e perciò non sconta lo stesso gravame fiscale di Londra. Inoltre Art Basel Paris (incentrata per lo più sul moderno) vanta un’affluenza maggiore di Frieze, che vira più sul contemporaneo. Senza contare che la sede storica del Grand Palais attrae molto più pubblico (americani, asiatici) anche rispetto alla stessa Art Basel di Basilea. Parigi è diventata una piattaforma centrale per l’Europa».
Quali le opere che – in questo caso – sono più nel suo cuore?
«Il Fontana rosso (Concetto spaziale, Attese) e il Manzoni bianco (Achrome) sono parte di due collezioni importanti che ho seguito con grande attenzione e cura negli anni. Il Fontana proviene da una collezione illuminata che era partita dall’azzeramento totale del colore e della materia per poi arrivare a una selezione notevole di arte povera. Questo è uno dei pezzi più importanti della collezione. Lo stesso dicasi per il Manzoni, che veniva da una colleziona romana, fu venduto a Londra nel 1999 per poi arrivare al Mart. Oggi finalmente è in asta. Sono opere di grandissima qualità, con una storia collezionistica molto importante alle spalle. Quasi persone di famiglia, più che quadri. Entrambi parte di passaggi generazionali.
Tutte le foto sono cortesia di ©Christie’s Images
Ci sono a catalogo veri e propri gioielli, come il bellissimo Schifano bianco e nero (Insegna 7E-8E, stimato 600.000-800.000 euro, ndr), esposto alle Scuderie della Pilotta. Ha un fascino speciale, è uno degli Schifano “giusti”, come il Castellani nero e argento. Sarà un’asta che ci darà delle soddisfazioni».
Che cosa non può non avere un’opera per essere ammessa al consesso di “Thinking Italian”, dando per scontati nome ultra storicizzato, stato di conservazione eccellente, qualità intrinseca, documentazione completa, provenienza e storia collezionistica?
«Tutto quello che ha elencato, più l’eccezionalità. Se si guarda al XX secolo dell’arte italiana, gli artisti che hanno lasciato una traccia, a posteriori, sono una ventina. Alcune fiammate si sono già esaurite. E poi, ogni artista produce pezzi più e meno importanti: dello stesso Manzoni, non comprerei tutto. Chi è rimasto, è da noi».
Fra questi artisti c’è anche Domenico Gnoli, che le case d’asta hanno ignorato prima della grande mostra della Fondazione Prada.
«Non è vero. Ne avevamo venduto uno nel lontano 2001 (l’anno in cui partì l’Italian sale di Christie’s a Londra, ndr), quindi ben prima della mostra della Fondazione Prada. Abbiamo iniziato noi il mercato di Gnoli, che ha preso il grande volo nelle aste di Christie’s Londra ed è stato sempre molto combattuto. Ricordo solo una Capigliatura a 7 milioni di sterline nel 2014 (Black Hair, 7.026.500 poud, +368% la rivalutazione, ndr), oltre varie opere valutate pochissimo e che poi si sono rivalutate fino a raggiungere quotazioni milionarie. Abbiamo venduto talmente tanti Gnoli che sono diventati rarissimi. Parlo dei quadri più importanti, quelli dipinti dopo il 1964, quando affina la tecnica dell’iper dettaglio. Ora i prezzi sono più morbidi».
Fa parte della generale contenzione del mercato?
«Non esattamente. Rientra piuttosto nel fenomeno che si verifica successivamente alle grandi mostre, momento in cui sia i collezionisti che gli operatori esprimono grande entusiasmo per l’autore in questione. Durante la mostra i prezzi salgono; dopo, vengono calmierati. Lo stesso “effetto Gnoli” si è avuto con Burri, dopo la sua grande mostra al Guggenheim di New York (09 Ottobre 2015 – 06 Gennaio 2016, ndr). Lo si è avuto anche con Boetti. Quel momento di assestamento che poi lascia spazio alla risalita. Vi sono momenti di flessione ed eccitazione, il mercato però è sostanzialmente stabile».
In questo momento tutti gridano alla crisi del mercato dell’arte. Lei dalla sua lunga esperienza e dalla qualità del suo vissuto nel sistema dell’arte, che cosa pensa di questo momento, trova che sia una replica di quanto già vissuto?
«Da parte mia penso che siamo in un momento sano del mercato. Si sta attuando un ripensamento, si sta cercando di comprare con maggiore attenzione. La crisi per me in questo momento è più concettuale: per ragioni serie, importanti, tristi. Ci sono due guerre in atto: hanno impattato l’economia globale e su questo non c’è dubbio. Ma ciò che è diminuita non è la domanda. Analizzando i flussi si nota che a essere diminuita è l’offerta, la quantità globale di opere portate in asta. Come casa d’aste per esempio abbiamo presentato meno della metà delle opere rispetto al passato, vendendo però con le stesse percentuali. Molto spesso la crisi si genera per il passaparola. Il mercato si spaventa e si trovano meno persone disposte a vendere, per lo più quelle sollecitate dalle note tre “D” (death, divorce, debt, ndr). Ma chi può permettersi di scegliere, non vende».
«In questo particolare frangente poi, influisce ancora sulle analisi l’eccezionalità della collezione Paul Allen, battuta nel 2022. Il momento non è effervescente, è vero, ma sicuramente vi influisce il timore di vendere. Con la conseguenza che la qualità è un po’ scesa: se avessimo qualità sempre elevata, venderemmo tutto. Proprio per questo sono molto curiosa di vedere come andrà questa Thinking Italian a Parigi. Quello che in fondo aspettiamo tutti è un nuovo momento di vivacità, che è per sua natura contagiosa. Io spero che questo accada almeno per il mercato dell’arte italiana. Per il resto, ogni grossa crisi ha una sua storia. Si pensi a quella del 2008: si era portata dietro qualche trimestre di riflessione. Poi tutto è ripartito».
Christie’s è detentrice del record di Beeple. Che destino avrà secondo lei l’arte digitale? Quasi non se ne ha più memoria.
«È stato all’inizio un fenomeno improvviso, quasi violento. Ciò non vuol dire che è prossimo all’esaurimento: questi fenomeni hanno modalità diverse di manifestarsi. Anche in questo caso, siamo in un momento di “aggiustamento”, di calma. Ma gli artisti ci sono e continuano a fare risultati; Christie’s ha una piattaforma completamente dedicata all’arte nft. Ci vorrà qualche anno, prima che le acque inizino a smuoversi di nuovo. Ma sono convinta che si tratti di una forma d’arte che farà parte del futuro, ci saranno ancora dei momenti di picco e di basso. Si pensi solo al mercato di Fontana: prima di arrivare ai livelli attuali è crollato quattro volte (dagli anni ’70 a oggi). Bisognerà modificare anche le condizioni di accessibilità a questa forma d’arte: il collezionista di beni fisici in fondo non sa ancora come approcciarvisi. Oggi grosso modo la metà dei collezionisti è ancora baby boomer».
Azzardo: qualcosa cambierà già nel 2025?
«Non credo. Dovremo pazientare un po’ di più».
Come mai la scelta di tenere l’anteprima nella sede milanese di Ersel?
«Per amicizia. È un nostro sponsor, un “alleato” cui sono profondamente grata. Ha una bellissima sede, non è la prima volta che ci ospitano. Paola Giubergia ama moltissimo questo tipo di collaborazione creativa. Insieme, educhiamo all’arte».
E dato il successo debordante dell’anteprima milanese martedì 1° ottobre 2024, si può dire che l’intento sia riuscito.