Il sostegno fiscale e monetario fornito da governi e banche centrali dallo scoppio della pandemia ha assicurato che il mondo non incorresse in una mancanza di domanda. Tuttavia, a soffrire la maggior pressione, è stata l’offerta: trovare una soluzione ai diversi colli di bottiglia sul mercato non è affare semplice, così come gestire la questione del rialzo dei prezzi e del calo della forza lavoro.
“L’economia globale sta lottando per veicolare una domanda robusta attraverso un canale di offerta troppo stretto”, commenta Daniel Morris, chief market strategist, co-head dell’Investment insight centre di BNP Paribas am, secondo cui la crescita economica del 2022 sarà scandita da tre fattori critici: il ripristino delle catene di approvvigionamento, la riallocazione del lavoro e il riequilibrio della domanda e dell’offerta.
Il contributo dei consumatori
A spingere la domanda nella fase post pandemica sono stati anzitutto la rinnovata fiducia dei consumatori, livelli di spesa delle famiglie in crescita e maggiori investimenti da parte delle imprese. “L’impatto sull’inflazione della domanda ‘eccessiva’ dipenderà in parte dalla sua composizione”. Il 2020 ha infatti modificato le esigenze di spesa delle famiglie, che, tra le altre, hanno aumentato i propri acquisti in nuovi dispositivi per l’intrattenimento e il lavoro da casa, mettendo all’angolo attività più legate al mondo dei servizi o ai consumi in esperienze. Il trend dei depositi in crescita nel 2020 ha riguardato tutte le principali economie sviluppate: una nota di Banca d’Italia ha rivelato come i depositi bancari delle famiglie dell’area euro abbiano registrato nel 2020 una crescita in termini pro capite di 2.000 euro, con Germania e Francia oltre la media. Italia e Spagna hanno subìto un calo dei consumi delle famiglie superiore al 10% a prezzi correnti, fattore che ha determinato un incremento del risparmio lordo delle famiglie in rapporto al reddito lordo disponibile. Un quadro similare si è visto anche negli Stati Uniti: come riportato dalla Fed di St. Louis, l’inversione di tendenza nella crescita dei depositi si è verificata tra le banche di tutte le dimensioni. Tra il dicembre 2019 e lo stesso mese del 2020, i depositi totali sono cresciuti di oltre il 23%.
Entrambi i livelli di inflazione americana e europea hanno toccato a novembre 2021 i rispettivi massimi da trent’anni.
Il mercato del lavoro
Molti osservatori di mercato sono intanto rimasti delusi dalla lenta ripresa del tasso di partecipazione alla forza lavoro Usa, che ha portato ad una offerta di lavoro insufficiente rispetto al numero di posti di lavoro disponibili. Attualmente, gli occupati statunitensi restano al di sotto della fase pre pandemia e “non è chiaro”, aggiunge l’esperto, “se tornerà su quei livelli”.
Mentre il numero dei lavoratori più giovani in attività è tornato “entro la media del decennio antecedente la pandemia”, dopo essere “drasticamente diminuito a seguito della GFC”, a preoccupare è il dato legato ai più senior. A seguito della crisi finanziaria globale, “la riduzione dei fondi pensione ha costretto molti lavoratori più in là con gli anni a cercare lavoro” creando una anomalia ‘positiva’ per la forza lavoro. Oggi invece, la maggiore preoccupazione di contrarre il Covid “non fa che aumentare l’incentivo a optare per il pensionamento piuttosto che per il lavoro”, lasciandosi dietro un vuoto.
C’è di più: gli Stati Uniti hanno pratiche di licenziamento più veloci e snelle rispetto al Vecchio Continente, il che significa riuscire ad alleggerire la forza lavoro non appena inizia una recessione, ma anche dover impiegare più tempo nella fase di re-integrazione dei dipendenti, che devono sostenere nuovi colloqui. “A lungo termine, ciò potrebbe essere migliore per la crescita economica, poiché la nuova configurazione del mercato del lavoro potrebbe adattarsi meglio alla nuova economia”; nel breve, tuttavia, ciò significa tempo e risorse.
Il divario tra posti di lavoro disponibili e i lavoratori sul mercato ha già contribuito ad alzare la media dei salari nominali corrisposti: l’Atlanta Wage Growth Tracker ha toccato a settembre 2021 il livello più alto dal 2008 e le aziende probabilmente dovranno continuare ad aumentare gli stipendi nel 2022 per mantenere salda la propria forza lavoro. L’aumento del livello di inflazione ha spinto inoltre alcuni sindacati (che rappresentano oggi il 10% dei lavoratori statunitensi; 28% in Europa, secondo i dati Ocse) a reincorporare l’adeguamento del costo della vita (Cola) all’interno dei loro contratti”, creando nuova base per un aumento dei prezzi.
Equilibri 2022
Complessivamente, “crediamo che le pressioni inflazionistiche persisteranno fino al 2023” e, sebbene alla fine potrebbero risultare essere solo “transitorie”, saranno proprio queste a dettare le sorti di crescita economica, forza lavoro e politica monetaria.
Articolo tratto dal magazine We Wealth di Dicembre 2021