“NGEu”, l’acronimo delle aspettative europee (e italiane)

Si chiama Next Generation Eu (NGEu) e altro non è se non l’atteso Recovery fund europeo, che si prefigge di pilotare il Vecchio Continente al di fuori della crisi da coronavirus. Sarà davvero così?

Secondo la proposta presentata lo scorso 27 maggio dalla Commissione Ue, il fondo avrà una capacità di 750 miliardi di euro (pari al 5% del Pil dell’Eurozona). Liquidità che si andrà ad aggiungere al pacchetto di manovre comunitarie già concordate pari a €540 miliardi (per un ulteriore 4% del Pil).
Facendo un breve passo indietro, il quadro completo degli stimoli fiscali si compone delle seguenti voci:
Fondo Sure da €100 miliardi, per coprire gli schemi di cassa integrazione dei Paesi:
Contributi Bei da €200 miliardi per i prestiti e la liquidità alle imprese;
Linee di credito Mes da €240 miliardi senza condizionalità per gli Stati membri; o meglio, con una sola condizione: che le risorse vengano utilizzate per far fronte alla crisi sanitaria;
Recovery Fund o Next Generation Eu da €750 miliardi, €500 miliardi a fondo perduto e €250 in prestiti, di cui complessivamente €560 miliardi per supportare i Paesi nel loro percorso di ripresa economica (Recovery and Resilience Facility).

Un piano di misure europee senza precedenti

Complessivamente, il piano di misure europee non conosce precedenti. “Basti pensare che il bilancio europeo prima dell’inizio della crisi ammontava solamente all’1% circa del Pil dell’area” hanno commentato gli esperti di Pictet AM.
“Le risorse a fondo perduto del NGEU – la cui erogazione è subordinata al fatto che vengano utilizzate per finanziare la ripresa e la crescita economica – dovranno essere restituite contribuendo al bilancio europeo in 30 anni a partire dal 2028, ossia con tempistiche molto lunghe e in base alla quota di partecipazione al bilancio propria di ciascun Paese”.
Cosa significa per l’Italia? Sulla carta, l’accesso a circa €85 miliardi a fondo perduto e altri €65 miliardi da rimborsare tra il 2028 e il 2058, con un beneficio netto di circa €20 miliardi di trasferimenti.
Per finanziare il bilancio europeo con risorse proprie, la Commissione ha inoltre previsto la possibilità di predisporre tassazioni aggiuntive sull’elusione fiscale delle imprese tech multinazionali (digital tax) e all’aumento del costo dell’inquinamento (carbon border tax), riducendo ulteriormente l’onere per i singoli Stati.

Sure, Bei, Mes e NGEu

“In sostanza, nel 2022, quando tornerà ad essere soggetta al monitoraggio semestrale europeo previsto dal Patto di Stabilità, l’Italia potrebbe ritrovarsi con un’esposizione del debito pubblico al mercato inferiore a quello attuale: il fabbisogno finanziario dei prossimi anni, infatti, potrebbe essere integralmente coperto dallo sforzo congiunto della Bce (Pepp) e della Comunità Europea (Sure, Bei, Mes e NGEu). Un’occasione più unica che rara di portare a termine delle fondamentali riforme strutturali senza gravare sulle finanze pubbliche. In definitiva, l’Europa pare oggi ben più determinata ad impedire che la pandemia frantumi il progetto comunitario sotto il peso della divergenza economica o della disgregazione sociale”.
La Banca centrale europea, riunitasi giovedì 4 giugno a Francoforte, ha deliberato una estensione del piano Pepp, aumentandolo di 600 miliardi di euro, da 750  a 1.350 miliardi di euro.

 
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