Mercato azionario italiano al test del secondo semestre

Massimo Trabattoni – Head of Italian equity di Kairos

Quali variabili influenzano il corso dei mercati azionari oggi? Quali sono i principali rischi per l’equity italiano? Quali settori presentano le migliori opportunità di investimento? L’opinione di Massimo Trabattoni, Head of Italian equity di Kairos.

Fa un po’ riflettere parlare di incognite in questo particolare contesto di mercato, che pare essersi dimenticato, eliminandoli dai prezzi, molti dei rischi che ci preoccupavano fino a qualche mese fa. Ad esempio, lo stop alla procedura d’infrazione, il problema dell’eccessivo deficit e l’inasprimento dei livelli di spread, fattori che, tramite un tentativo di equilibrare l’instabilità politica, sono rientrati progressivamente. A questi si aggiungono poi le incertezze di carattere globale, le dinamiche di guerra commerciale, il rallentamento della crescita, il futuro economico cinese e le tensioni geopolitiche”.

Esordisce così Massimo Trabattoni, Head of Italian Equity di Kairos, intervistato sull’attuale situazione italiana e sulle dinamiche di un mercato azionario al suo decimo anno di crescita (quasi) incontrastata.

Mercato azionario: ancora bull market

Nonostante un mercato disseminato di punti di domanda, nel 2019 il comparto azionario ha confermato la propria fase di bull market, toccando nuovi record negli Stati Uniti (attualmente all’interno del secondo più lungo ciclo economico espansivo mai visto) e tradottosi per l’Italia in un rialzo del 20% dell’indice Ftse Mib che, da gennaio, ha registrato una delle migliori performance sullo scenario mondiale.

La chiave di lettura del modo in cui il mercato ha superato le sue paure va ricercata nelle mosse delle principali banche centrali, che hanno adottato un atteggiamento molto proattivo. Invece che aspettare che si manifestassero situazioni dalle quali correre ai ripari, esse si sono messe in prima linea a sostegno dei mercati: la Federal Reserve, dal canto suo, ha rallentato il ritmo della stretta monetaria; la Bce, dall’altro, si è presa il suo tempo per decidere se intervenire nuovamente sulla liquidità. Tale situazione è stata prezzata al 100% dagli operatori: il premio per il rischio è calato, le pressioni sui tassi d’interesse si sono riassorbite e il trend inflazionistico degli asset finanziari si è rinfrancato, traducendosi in nuovi acquisti sull’equity”.

Rischi di mercato e settori sotto la lente

Il principale rischio di mercato, al momento, sembra quindi legarsi al comportamento degli istituti centrali e all’attesa delle aspettative createsi.
Se davvero le banche centrali terranno fede alla parola data, optando per nuove misure a sostegno dell’economia entro i prossimi meeting di luglio e settembre, il mercato azionario potrebbe avere ancora moderati margini di crescita, specie per quei comparti più dinamici e a maggior sviluppo (tecnologico, farmaceutico ed utilities). Qualora le banche centrali, in primis la Fed, confermassero invece un atteggiamento attendista e possibilista, ai mercati ciò potrebbe non bastare: gli investitori tenderanno a rispondere con prese di profitto sui titoli growth, aventi multipli più elevati rispetto ai titoli value, più ciclici (mondo auto, telecomunicazioni e bancari)”.

Mentre il 2017 è stato guidato dall’appetito per le small cap (grazie ai Pir) ed il 2018 ha scontato l’incertezza del cambio politico, il 2019 del mercato azionario è partito all’insegna dell’apprezzamento. Non è tuttavia da escludere una nuova fase di instabilità: in autunno, l’Italia tornerà a parlare di legge di Bilancio 2020 davanti ad una rinnovata Commissione europea; sorvegliato speciale, ancora una volta, il debito, cui farà seguito un possibile aumento dell’Iva, che difficilmente verrà digerito dagli elettori. A partire dalla fine dell’estate, asset bancari e titoli domestici più legati all’economia locale potrebbero quindi trovarsi ad affrontare crescenti difficoltà.

I perché di un approccio conservativo

Sui titoli finanziari rimaniamo conservativi. La nostra idea è che investire nell’equity di questo settore sia oggi una scelta subottimale, fino a quando non saranno introdotti cambiamenti sostanziali al modello di business”.

L’attuale contesto dei tassi di interesse assomiglia sempre più a quello del Giappone degli ultimi vent’anni, incastrato nelle classiche value trap, dove le pratiche di taglio dei costi faticano a tenere il passo col calo strutturale del business: oltre ai tassi a zero e alla pressione a ribasso sulle commissioni, le banche sono oggi strutturalmente surclassate da nuovi player che arrivano sul mercato rompendo un modello di business del credito ormai consolidato.

Ci troviamo pertanto, come investitori, a guardare con interesse ai player di finanza strategica, molto più focalizzati su soluzioni innovative rispetto alle banche commerciali tradizionali, che presentano valutazioni convenienti ma non per questo interessanti in un’ottica prospettica. Allo stesso modo, sebbene l’abbassamento dei livelli di spread potrebbe portare beneficio ai bilanci dei principali istituti di credito italiani (sgravando il capitale bancario da un peso extra), la pressione sul fatturato colpirà tutte le linee di business, vanificando le poste attive”.

Trade-off tra breve e medio-lungo termine

Infine, relativamente al settore auto, la situazione rimane complessa. Diverse sono le domande che si pongono gli operatori: gli Stati Uniti affronteranno una nuova recessione? La Cina riuscirà ad attuare misure allentative capaci di riattivare una crescita all’altezza dell’ultimo decennio? Quale sarà la portata del rallentamento della crescita globale?

Gli investitori di medio-lungo periodo tendono a mantenersi a margine del comparto, scorgendo con difficoltà quali possano essere i futuri sviluppi di un mercato in fase di profonda transizione; ciò fa sì che i prezzi siano dettati dagli operatori di più breve termine. Va inoltre aggiunto che, fino ad ora, le principali cause di ribasso per il settore auto, fatte da parte minacce sui dazi, rallentamento di domanda cinese, calo della produzione tedesca, nuovi disposizione europee sulle emissioni di Co2 e la minor propensione all’acquisto di auto da parte delle nuove generazioni nei paesi sviluppati, si sono legate alla revisione delle stime sull’anno, troppo alte rispetto alla realtà e ancora in fase di revisione. Sebbene alcune società produttrici di auto dovrebbero iniziare a presentare un miglioramento dei numeri, al momento non ci sono molti appigli per pensare ad una rivalutazione generale del settore”.

 

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