Bond: un inizio d’anno su basi più solide

Rocco Bove, head of fixed income di Kairos

Dopo un 2018 caratterizzato da forte correlazione tra Equity e Bond, le obbligazioni torneranno a percorrere il proprio sentiero? Quali sono i paradigmi fondamentali con cui è iniziato il 2019 sui mercati obbligazionari? Come tradurre queste opinioni nell’asset allocation di portafoglio? Risponde Rocco Bove per la puntata di Febbraio di “Le Voci di Kairos”

Il cortocircuito dei mercati del 2018 è stato la correlazione uno a uno tra obbligazioni e azioni che, nell’annus horribilis per tutte le asset class, si è tradotto dal punto di vista della performance in una situazione complicata per tutti gli investitori.
Il 2018 è stato infatti un anno particolarmente difficile per l’obbligazionario perché tutti e due i vettori di performance, tasso (effetto durata) e credito (effetto qualità), sono andati dalla parte sbagliata.

Ma, spiega Rocco Bove, head of fixed income di Kairos, nella prima puntata di “Le Voci di Kairos” (l’esclusiva rubrica mensile dedicata ai lettori di We Wealth per conoscere le opinioni di una finanza amica su mercati e investimenti), il posizionamento è stato “il problema del 2018 tecnicamente più importante”. Siamo partiti con i mercati caratterizzati dal FOMO (Fear Of Missing Out), in cui tutti gli investitori credevano in un ciclo fortemente espansivo, e dai rialzi di tutte le asset class, correlate fra loro, fattori che hanno accentuato la paura degli operatori di non avere assunto sufficiente rischio nei portafogli. Gli operatori dunque erano posizionati tutti lunghi sulle stesse idee e asset class nello stesso momento, condizione tipicamente non foriera di grandissimi risultati.

Un altro fattore che ha esasperato i movimenti del 2018, oltre alla scarsa liquidità e al posizionamento totalmente sincrono di tutti gli investitori, è stata la presenza sempre più importante sui mercati delle gestioni passive.
Non sono un problema in sé ma, trattandosi al 99% di strumenti prociclici (comprano quello che sale e vendono quello che scende), quando il mercato è saturo, la presenza di acceleratori di movimento come lo sono le strategie passive rischia di generare delle complessità”, commenta il responsabile desk obbligazionario di Kairos.

Cosa è cambiato?

Questo scenario nel 2019 è completamente cambiato. Le performance fortemente negative su tutte le asset class hanno portato a un ridimensionamento fisiologico delle posizioni, nonostante questi primi spiragli del 2019 abbiano fatto registrare movimenti di respiro.
Il secondo paradigma fortemente mutato è che ora le Banche Centrali guidano su un percorso di normalizzazione senza “pilota automatico” e, in primis la Fed e poi la Bce in maniera più sfumata, hanno comunicato che attueranno gli interventi di politica monetaria solo in funzione dei dati dell’economia: “è una sfumatura di percezione, ma in realtà una sfumatura immensa per gli operatori”, conclude Bove.

Europa: promossi e bocciati

Focalizzandosi ora sul mercato obbligazionario europeo, le sfide per il Vecchio Continente nel 2019 sono tante e passano attraverso due vettori: il ciclo economico in rallentamento e la politica, con le elezioni europee a Maggio e il nodo irrisolto della Brexit. È opportuno capire quanto di questi rischi siano già prezzati nei valori delle asset class: secondo l’esperto di Fixed Income, “a guardar bene i valori europei, possiamo ragionevolmente affermare che ci siano delle sacche di grandissimo valore, perché il mercato ha prezzato in maniera anche esasperata tutti i rischi sopra elencati”.

In particolare, a parere di Bove, non si potrà ricercare valore in tutto il mondo investment grade, che è ancora molto legato alle dinamiche del Quantitative Easing nonostante quest’ultimo sia tecnicamente finito. “Non reputiamo interessante questo tipo di allocazione nonostante il tasso di default in Europa rimanga estremamente basso, perché abbiamo già visto l’anno scorso come l’investment grade risenta della volatilità dei mercati, senza offrire particolare valore aggiunto, né in termini di protezione verso i fondamentali e quindi del ciclo economico, né in termini di liquidità”, afferma l’head of fixed income di Kairos.

È invece opportuno fare un distinguo sulla parte breve della curva: in un mondo di tassi negativi, le obbligazioni corporate di elevata qualità (bassissimo rischio di credito) con duration breve (18-24 mesi) e che hanno un rendimento attorno allo zero possono diventare appealing per l’impiego di tesoreria, oggi la sfida più difficile per l’investitore professionale.

Molto più interessante torna ad essere l’universo high yield:lo scorso anno lo abbiamo ridotto quasi ai minimi termini perché i prezzi non erano più coerenti con i rischi. Il repricing, a volte fin troppo violento del 2018, ha riportato l’interesse in questa asset class, però con una grande distinzione: se nei 5 anni precedenti l’high yield viaggiava con il vento in poppa (tassi in diminuzione, ciclo economico in espansione e spread alti in restringimento) e si poteva comprare come beta, ora la situazione è cambiata. I tassi rimarranno bassi, ma non daranno più particolari aiuti, gli spread sono tornati ad essere mediamente larghi e il ciclo economico è in rallentamento. Bisogna quindi tornare ad allocare l’high yield a livello di alfa e fare il lavoro dell’analisi di credito, andando a selezionare quelle storie che offrono il miglior mix in termini di fondamentali, ciclo, settore, rating, Paese, geografia e prezzo”.

In termini geografici, si crede nella Spagna: è un Paese europeo che sta crescendo ancora molto e che dal punto di vista dei fondamentali ha aggiustato il legame tra real estate e banche. Le banche spagnole in questo momento sembrano infatti molto solide, e tutto il ciclo economico legato al real estate è in grande espansione: “a livello di corporate ci sembrava uno dei posti migliori dove collocarci”, commenta il gestore.

L’Italia dal canto suo si illumina automaticamente come Paese interessante dal punto di vista dei rendimenti perché sono più elevati, ma non bisogna scordare che nel Bel Paese i rischi sono di duplice aspetto, sia riguardanti lo spread BTP-Bund, sia riguardanti il rallentamento del ciclo economico, di cui l’Italia sembra risentire maggiormente in confronto agli altri Paesi dell’Eurozona. Quindi bond italiani sì in portafoglio, ma con grande e attenta selettività.

Attenzione invece alla Francia, ammonisce Bove, che, a livello di Sistema-Paese, presenta rischi politici e fondamentali abbastanza elevati, non adeguatamente prezzati, né nei rendimenti dei governativi né nei rendimenti dei corporate.

Infine, per quanto concerne il Regno Unito, non c’è una view esplicita per quello che sarà il risultato della Brexit e sui suoi impatti sull’economia europea, ma si tratta di un rischio binario che difficilmente un investitore professionale può assumersi, pur sapendo di rinunciare a potenziali opportunità.

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