Shock finanziari: la top 10 dei settori più resilienti

Oltre ai numeri, la psicologia dell’investitore. Una delle principali conseguenze delle flessioni di mercato registrate durante le fasi di maggior volatilità (la Grande crisi finanziaria del 2008 ne è la madre) è che molti investitori hanno messo in dubbio il valore della diversificazione. Cos’è successo nell’ultimo ventennio di shock finanziari? Come si sono comportati i mercati?

Linea del tempo: 20 anni di shock

1997-1998: la crisi finanziaria asiatica, scaturita dalla crisi valutaria che ha fatto seguito ad un’eccessiva rivalutazione del dollaro americano, provoca un improvviso deflusso di capitali dai Paesi emergenti verso l’estero.
Scontando l’incertezza di una possibile diffusione della crisi nel resto del mondo, gli investitori iniziano ad allontanarsi dal mercato, liquidando le proprie posizioni. Risultato? Un indice MSCI World in calo, con una performance complessiva del -13,4%.
2000-2002: l’avvento di internet e il rapido sviluppo tecnologico cedono il passo ad un’evidenza: le neonate realtà innovative, che molto successo hanno tratto grazie al dot.com, presentano una struttura di capitale non sufficientemente solida.
Il timore che attorno al mondo dell’online si sia gonfiata una bolla delle quotazioni muove le leve della paura (e del sell), portando i listini a picco. A pagarne le conseguenze è l’indice MSCI World, con un ribasso complessivo del 46,3%.
2007-2009: crisi dei mutui subprime, fallimento del colosso finanziario Lehman Brother e, di rimando, scoppio di una crisi finanziaria devastante, la Great financial crisis (Gfc), le cui ripercussioni perdureranno per tutto il decennio successivo.
La storia di come andò è ancora fresca. Performance dell’indice MSCI World? -53,7%.

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2010-2011: la crisi americana pervade il globo, andando a colpire in maniera aggressiva quelle aree di mercato già di per loro deficitanti. Scoppia così la crisi dei debiti sovrani. Prima la Grecia e, a seguire, le economie dell’Europa periferica accomunate da spread in allargamento (rispetto al baluardo sicuro del bund tedesco) e dall’acronimo PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna. L’indice MSCI World registra nei due anni performance calanti, rispettivamente del -12,6 e del -19,4 per cento.
2015-2016: la Cina torna protagonista. Una profonda crisi del mercato immobiliare, il calo del livello dei prezzi ed una politica anti corruzione sempre più stringente voluta dal governo portano gli investitori a far confluire capitali e liquidità in eccesso all’interno dei mercati quotati, contribuendo a gonfiare la bolla. La carenza di domanda esterna spinge la Cina, nell’agosto 2015, a svalutare attivamente la propria divisa, rendendola più competitiva per gli importatori mondiali. Il dado è tratto: la lotta al ribasso colpisce non solo il Dragone e gli Emergenti, ma anche America ed Europa. Indice MSCI World giù dell’11,6%.
2018: il più recente passato, oggetto di importante sell-off a partire dalla seconda metà dell’anno. Cosa è accaduto? La risposta in una serie di fattori: calo della crescita cinese, calo della domanda (e della profittabilità) dei colossi del tech a stelle e strisce, protezionismo, rigidità della Fed americana sul fronte della politica monetaria e avvisaglie di guerra commerciale Washington-Pechino poi tradottesi in realtà. Indice MSCI World appesantito dalla combo di incertezze: -13,4%.

La top 10 dei settori resilienti

Ogni shock di mercato porta con sé conseguenze più o meno gravi. Solo un domani conosceremo gli effetti reali della crisi da coronavirus che stiamo vivendo. Di certo, eventi di portata rilevante quali la Gfc sono in grado di turbare gli equilibri per anni, andando a colpire, più che le performance di portafoglio di breve termine, la fiducia degli investitori di lungo termine.
Se si guarda agli avvenimenti dell’ultimo ventennio, due evidenze emergono chiaramente: la costante sovraperformance di alcuni settore rispetto all’indice globale; l’importanza di un portafoglio ben diversificato, capace di moderare gli eccessi di mercato, perseguendo obiettivi di lungo periodo.



Fonte: Capital Group. Clicca sull’immagine per vederla ingrandita

Nei periodi di instabilita? e? importante mantenere una visione prospettica, equilibrata e flessibile” hanno commentato gli esperti di Capital Group. I benefici legati ad un portafoglio diversificato, hanno proseguito “sono forse venuti meno nel 2008 e all’inizio del 2009” a causa del crollo generalizzato dei mercati. In linea generale, però, il principio rimane valido: “la diversificazione tramite l’allocazione strategica di azioni e obbligazioni a livello globale rimane il tratto distintivo di un portafoglio in grado di aiutare gli investitori a raggiungere i loro obiettivi finali; può altresì aiutare gli investitori a mantenere un orizzonte di lungo periodo e a mettere in prospettiva i fattori che turbano il mercato nel breve periodo” hanno aggiunto da Capital Group.
“La recente volatilità ci ricorda che i mercati possono cambiare rapidamente, e continueranno a farlo; manteniamo un approccio misurato e di lungo periodo, selezionando i titoli e costruendo il portafoglio in un’ottica di conservazione del capitale. Ritengo quindi” ha concluso Hilda Applbaum, gestore di portafoglio di Capital Group “che in questo contesto la nostra capacita? di generare valore deriverà anzitutto dalla corretta selezione dei titoli, con il supporto della ricerca fondamentale”.

 

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