Recessione Usa? Non è poi così male come sembra

La principale differenza tra la crisi di Covid-19 e le altre crisi del passato risiede nella consapevolezza delle forze ribassiste che hanno portato alla recessione. Gli Usa, con il loro -4,8% di Pil trimestrale, restano comunque il centro nevralgico dal quale ripartire

Lo shock esogeno che ha caratterizzato l’arresto delle attività produttive e il crollo repentino delle quotazioni di mercato è nato in parte dalla consapevolezza che, per preservare la salute delle persone, la salute economica dovesse essere momentaneamente trascurata. Sebbene il mercato non sia l’economia, è comunque vero che la volatilità tende a riflettersi nel tempo sui diversi dati economici, anticipando sia le fasi recessive, sia la fine delle recessioni stesse.
Anche se i mercati finanziari dovessero iniziare a riprendersi, hanno quindi precisato gli esperti di Capital Group, potrebbe volerci del tempo prima che l’economia a stelle e strisce recuperi il terreno perduto. Una situazione chiara al presidente americano, Donald Trump, che ha iniziato a spingere per una riapertura del Paese, riequilibrando così lo sforzo sanitario a quello per la ripartenza economica.
Come ricordato dalla casa di investimento, ci sono alcune considerazione che è bene tenere a mente, riconducibili sempre ad un medesimo concetto di fondo: concentrarsi sugli investimenti a lungo termine può aiutare gli investitori a gestire la volatilità di breve.

Consumatore Usa: pesa 2/3 del Pil

Anzitutto, il consumatore statunitense pesa circa due terzi sul Pil dell’economia a stelle e strisce. Quel Pil che nel primo trimestre 2020 ha registrato un calo del 4,8%, il peggior dato dalla crisi del 2008, sul quale ha pesato il calo del 7,6% dei consumi.
L’incremento delle richieste di sussidi di disoccupazione (che in tre settimane, tra metà marzo e inizio aprile, ha raggiunto quota 16,8 milioni di persone), unita al lockdown generale e all’invito da parte delle istituzioni a “stare a casa” indeboliranno di certo l’economia. Potrebbe però trattarsi di un movimento relativamente breve. Le misure di sostegno di imprese e cittadini da 2 mila miliardi di dollari disposte dal Tesoro daranno parziale sollievo ai contribuenti, che potrebbero tornare a condurre una vita quasi normale già a partire da giugno, con bisogni e desideri amplificati rispetto al solito.
Il crollo del prezzo del petrolio, assieme ad un minor costo dell’energia, potrebbe inoltre essere un’ulteriore leva in vista di una ripartenza accelerata, pur penalizzando produttori e player petroliferi.

La ripresa è più forte della discesa

Una seconda evidenza è che, generalmente, le recessioni non durano molto. Analizzando dieci cicli economici a partire dal 1950, ogni recessione è durata in media 11 mesi, con minimi di 8 mesi e massimi di 18. Se si valutano inoltre le fasi di ripresa successive ai periodi di contrazione, l’espansione media ha determinato una crescita della produzione economica del +25% circa, contro un calo medio del Pil del 2% imputabile alle fasi di recessione.


Fonte: Capital Group. Clicca sull’immagine per saperne di più.

S&P500 anticipatore di fine recessione Usa

Infine, l’analisi delle tempistiche. Dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, hanno argomentato da Capital Group, durante le fasi di recessione, l’indice S&P 500 ha toccato in genere i propri minimi tre mesi prima della fine di ogni periodo recessivo. Se come picco minimo si prendessero ad esempio i valori toccati attorno alla metà di marzo, guardando al prossimo trimestre le opportunità di investire in aziende di valore a prezzi scontati potrebbe farsi sempre più interessante.

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