I mercati credono ancora alle banche centrali?

Aumento dei tassi? La Federal Reserve dice 2023, il mercato sconta il 2022. Nel mentre, gli economisti rassicurano: se il costo del denaro sale, le ragioni vanno ricercate nella forte ripresa economica cui andiamo incontro. I mercati credono ancora alle banche centrali?

Aspettative di rialzo tassi in tempi più brevi rispetto alle proiezioni della banca centrale americana, la quale ha confermato la possibilità di un intervento sul costo del denaro a stelle e strisce non prima del 2023. Il mercato sconta però un ritocco già a partire dal 2022.
Ad accrescere i timori circa un potenziale rialzo dei tassi di interesse prima del termine (ovvero un restringimento delle condizioni accomodanti della Federal Reserve a stelle e strisce) è stata la pressione sui titoli governativi, con il Treasury a dieci anni salito al di sopra dell’1,6% in termini di rendimento (massimi a 14 mesi), scontando la paura di un imminente rialzo dei livelli di inflazione.
Un rischio, quello di un aumento dei prezzi, che si lega anzitutto a due variabili: politiche monetarie ampiamente accomodanti e stimoli fiscali monstre (specie negli Stati Uniti).

Le ragioni dietro a un rialzo dei tassi

Il perché il rialzo del costo del denaro non debba destare oggi eccessive preoccupazioni lo dice l’economia stessa. Generalmente, le banche centrali utilizzano la leva dei tassi per conseguire uno degli obiettivi chiave di politica monetaria: la stabilità dei prezzi. Prezzi troppo alti sono infatti calmierati con tassi maggiori; prezzi in calo, con facilitazioni del credito.
Nella fase che viviamo oggi, i mercati iniziano ad intravedere la luce alla fine del tunnel, scenario che innalza le aspettative di crescita, le prospettive di consumi, le stime di inflazione e, dunque, le condizioni di offerta del credito.
Sebbene fattori positivi di breve quali il successo americano del piano vaccinale, il miglioramento del mercato del lavoro, la potenziale domanda per quei settori rimasti ingessati dalla pandemia, possano far presagire una vigorosa ripresa, a far sfumare il rischio di un intervento sui tassi di interesse oggi è la fisiologia stessa della politica monetaria che, per passare da una fase di allentamento a una di rigore, tende a seguire uno schema per gradi: progressivo rientro dalle misure di politica straordinaria (quantitative easing in primis), stop al reinvestimento delle poste in scadenza, intervento sui tassi di interesse. Un iter difficilmente percorribile in meno di 18 mesi, che attuato in tempi troppo rapidi potrebbe però pregiudicare la ripresa.

Tassi bassi spingono l’inflazione

In questo contesto, commentano gli esperti di Capital Group, “l’impegno della Fed a mantenere tassi bassi in mezzo a un’attività economica più robusta ha contribuito ad aumentare le aspettative di inflazione”. Se da un lato la banca centrale è disposta a sopportare una inflazione moderata per ridurre ulteriormente la disoccupazione, dall’altro, un eventuale surriscaldamento dei prezzi potrebbe significare tassi più elevati vicini. E il consenso degli investitori di un rialzo al 2022 sembra confermarlo.
Il ragionamento conduce quindi ad un’altra domanda: sono i tassi a far alzare l’inflazione o i l’inflazione ad incidere sul rialzo dei tassi? Ne parliamo qui.



Fonte: Capital Group. Clicca sull’immagine per vederla ingrandita

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