Deficit, debito, PIL: perché le parole (e i numeri) sono importanti

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Il debito pubblico è un tema centrale in finanza e politica ed è per questo che risparmiatori e investitori devono avere ben chiari i concetti chiave di deficit, debito e rapporto debito/PIL e quali implicazioni essi hanno sul loro patrimonio

In finanza e in politica il debito pubblico suscita da sempre importanti dibattiti attirando l’attenzione di analisti, policymaker e semplici cittadini. Spesso, tuttavia, deficit, debito, rapporto debito/PIL sono concetti che possono creare confusione, soprattutto quando messi in relazione tra loro. Ecco perché è importante chiarire bene che cosa essi significhino e quali siano per tutti noi – risparmiatori, investitori, cittadini – le implicazioni delle loro dinamiche. Le analizziamo insieme a Kevin Thozet, membro del Comitato Investimenti di Carmignac.

Non tutti i debiti sono uguali

“I deficit attirano molta attenzione, e a giusto titolo – spiega Thozet – dal momento che il loro aumento è normalmente associato a squilibri e incertezza intrinseca, a cui di regola si accompagna volatilità dei tassi di interesse e dei mercati valutari”. Eppure, non tutti i deficit sono uguali. “Se si confrontano tre paesi distinti in tre continenti, si osserva che i deficit di India, Stati Uniti e Francia, pur essendo simili per entità, sono in realtà molto diversi”.

Il potenziale impatto dei deficit di bilancio sulle dinamiche del debito pubblico differisce sia in base al livello massimo di deficit che deteriora il rapporto debito/PIL di un paese, che in base al margine d’azione politico di cui dispongono i governi per modificare il trend dei deficit.

“Esaminiamo innanzitutto di quanto margine di manovra dispone un governo in termini di ampliamento massimo di un deficit. Se si prendono in considerazione questi tre paesi, il cui stock del debito espresso in percentuale del PIL è abbastanza simile (attorno al 100%), il livello sostenibile del deficit, ovvero il disavanzo che non fa aumentare il rapporto del debito, è direttamente proporzionale al livello di crescita del PIL nominale. La crescita del PIL nominale determina il livello massimo del deficit oltre il quale il rapporto debito/PIL inizia ad aumentare”.

Una forte crescita potenziale consente al denominatore, che rappresenta la dimensione dell’economia di un paese, di crescere a un ritmo più rapido del numeratore, che indica invece la dimensione e il costo del debito. “Pertanto – spiega l’esperto di Carmignac – con la previsione di una crescita potenziale del PIL reale dell’India tendenzialmente superiore al 7% annuo, e con un’inflazione nel paese che normalmente si attesta al 4% in quest’area geografica, si prevede che il prossimo decennio possa rivelarsi maggiormente positivo per il subcontinente rispetto a Francia e Stati Uniti, dove è previsto che sia il PIL reale che l’inflazione crescano di circa il 2% annuo. Il fatto di essere un paese giovane, che sta recuperando terreno rispetto al resto del mondo, rappresenta un vantaggio per un paese come l’India”.

Deficit: cosa possono dare i governi per contenerlo e ridurlo

I governi hanno a disposizione diverse strategie per contrastare l’aumento del deficit. “La riduzione del deficit può essere perseguita aumentando le entrate, riducendo le spese, oppure facendo entrambe le cose. Innanzitutto bisogna considerare cosa contribuisce positivamente al pareggio di bilancio. Le entrate di ogni governo rappresentano un parametro chiave di cui tenere conto oltre alla capacità degli stessi governi di aumentare le imposte, se necessario. Le entrate pubbliche nelle economie mature tendono a essere relativamente più elevate rispetto a quelle dei cosiddetti mercati emergenti”.

Tuttavia non tutte le situazioni dei paesi sono uguali. “Ad esempio, poiché in Francia le entrate fiscali rappresentano oltre il 45% del PIL, è lecito dubitare della capacità del governo di trovare ulteriori fonti di entrate in prospettiva futura. L’omonima curva dell’economista statunitense Arthur Laffer indica che oltre un certo livello gli aumenti delle imposte possono diventare controproducenti; oppure come direbbe l’ex inquilino dell’Eliseo Jacques Chirac, troppe imposte uccidono le imposte. Le entrate di Stati Uniti e India, invece, offrono un ampio margine d’azione di cui avvalersi, se necessario”.

In secondo luogo, il potenziale di riduzione delle spese deve essere valutato con attenzione. “Due delle maggiori voci di spesa, potenzialmente in crescita, dei tre governi che stiamo analizzando riguardano da un lato le prestazioni sociali e dall’altro gli interessi passivi. Nel primo caso la spesa tende a diventare irreversibile a seguito dell’invecchiamento delle società nei paesi sviluppati, della crescente domanda sociale di benefit sociali e delle spese necessarie legate alla decarbonizzazione e al riarmo

Se si considerano le spese per gli interessi netti, pur rappresentando tra il 2,6% e il 3,5% del PIL nei tre paesi, il trend previsto in prospettiva futura è leggermente diverso, con quello dell’India che dovrebbe gradualmente diminuire nei prossimi anni, mentre i trend di Stati Uniti e Francia dovrebbero rimanere stabili nella migliore delle ipotesi. Come ha affermato Smriti Irani, economista indiana ed ex ministro del governo di Nuova Dehli, un paese ha bisogno di rigore fiscale per costruire un’economia solida e per la giustizia sociale”, conclude Thozet.

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