Arriva una nuova fase del ciclo economico? Cosa insegna la storia

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La classifica delle più grandi capitalizzazioni di mercato cambia ogni decennio, seguendo l’alternanza tra Usa e resto del mondo e tra temi growth e value. Secondo Carmignac, l’attuale dinamica d’inflazione potrebbe innescare un nuovo cambiamento. Vediamo perchè

Osservando gli ultimi quattro decenni, il panorama delle maggiori capitalizzazioni di mercato a livello globale ha subito trasformazioni radicali, riflettendo le dinamiche economiche, le innovazioni tecnologiche e le oscillazioni cicliche che caratterizzano il sistema finanziario mondiale. Secondo Frédéric Leroux, membro del comitato strategico d’investimento e responsabile del cross asset di Carmignac, uno sguardo retrospettivo consente agli investitori di individuare pattern significativi così da anticipare ciò che il futuro può riservare loro. Vediamo l’analisi in dettaglio.

Un’occhiata alla storia

Nel 1980, le maggiori capitalizzazioni di mercato a livello globale erano statunitensi, con nove aziende nella top ten, sei delle quali operanti al settore petrolifero. Nello stesso periodo, l’inflazione raggiunse il suo picco da 15 anni, sostenuta dall’aumento dei prezzi del petrolio, che fu possibile rallentare solamente grazie ai massicci investimenti massicci investimenti da parte delle compagnie petrolifere.
Dieci anni dopo, era il Giappone ad essere protagonista, grazie alla sua eccezionale ripresa economica culminata, come noto, in una delle più estreme bolle immobiliari e finanziarie della storia. Allora, otto delle dieci maggiori capitalizzazioni di mercato a livello globale erano giapponesi, sei delle quali banche.

L’inizio del nuovo millennio fu dominato dalla rivoluzione di Internet made in USA: nel 2000, infatti, sette delle dieci maggiori capitalizzazioni di mercato appartenenti agli Stati Uniti, e quattro di queste erano aziende operavano nel settore Tech. Ma di lì a poco la Bolla delle Dot-com scoppiò presto, causando un forte deprezzamento dei titoli tecnologici. Amazon, ad esempio, perse il 95% del suo valore prima di risorgere come il colosso che conosciamo oggi.
Nel 2010 sembrava invece che il futuro sarebbe stato a trazione cinese, con Pechino destinata a diventare la prima potenza mondiale. In quell’anno tre delle prime dieci capitalizzazioni erano cinesi, una compagnia petrolifera, ma la sottoperformance registrata dai mercati emergenti anni successivi dei mercati emergenti rispetto a quelli sviluppati ridimensionò questa previsione.

Ancora una volta, dopo dieci anni il dominio tecnologico statunitense si era già saldamente riaffermato: oggi, nel 2024, con l’intelligenza artificiale come principale driver di crescita, le aziende tech nordamericane occupano otto delle prime dieci posizioni nella lista delle società a più alta capitalizzazione.

Un gioco di alternanze

Quale conclusione si può trarre da questa analisi? “Secondo i dati di Gavekal Research”, spiega Leroux “nella ciclicità decennale dei mercati è possibile osservare due alternanze: da un lato quella che vede la guida dell’economia mondiale passare dalle aziende statunitense a quelle del resto del mondo e viceversa; dall’altra l’alternanza tra tematiche di crescita, o growthg, e tematiche più cicliche, o value, che potrebbero indurre a ritenere che il prossimo picco non sarà statunitense e avrà una struttura ciclica”.
Viene quindi naturale chiedersi quali siano gli elementi da mettere a fuoco per individuare un trend globale capace di favorire le aziende cicliche non statunitensi nel decennio attuale.
“Ritorniamo al 1972, quando i “Nifty Fifty“, i titoli growth per eccellenza, sovraperformarono il mercato per poi subire una forte correzione a causa dell’inflazione e dello shock petrolifero del 1973. Analogamente, i titoli FANG (Facebook, Amazon, Netflix, Google) hanno dominato il decennio 2010, ma l’inflazione del 2020-2022 ha provocato un calo significativo. Se il pattern si ripete, una seconda ondata di inflazione potrebbe innescare un nuovo cambiamento tematico”.

Che lezione per il mercato odierno?

Seguendo l’analogia, potrebbe essere lecito attendersi una seconda ondata di inflazione, la quale potrebbe mettere in moto il cambiamento tematico atteso e confermando allo stesso tempo la dinamica delle due alternanze.
“Una seconda ondata di inflazione” osserva Leroux “potrebbe infatti penalizzare le valutazioni elevate attraverso il moltiplicarsi dei suoi effetti sui tassi di interesse a lungo termine, e danneggiare maggiormente il mercato statunitense che ospita la maggior parte delle società non cicliche caratterizzate da crescita e valutazioni elevate. Il risveglio del Giappone, il rimbalzo atteso della Cina, l’accelerazione dell’India, le criticità dell’equazione energetica, la deriva di bilancio degli Stati Uniti, sono tutti fattori che potrebbero condurre verso tematiche e aree geografiche alternative alle mega capitalizzazioni statunitensi del settore tecnologico in senso lato, contribuendo allo stesso tempo alle pressioni inflazionistiche”.
In altre parole, la debolezza del dollaro, indotta dalla deriva di bilancio statunitense, potrebbe favorire una rivalutazione in dollari dei titoli azionari non americani. Tuttavia, prevedere un sorpasso sulle mega capitalizzazioni statunitensi da parte di imprese di altri paesi entro la fine del decennio è ancora prematuro.

In conclusione

“Riteniamo che la probabilità di una seconda ondata di inflazione (un’ipotesi che presenta i suoi vantaggi) sia abbastanza verosimile e rappresenti una fonte d’impatto tale da tenerne conto all’interno di una strategia globale di portafoglio, attraverso la graduale implementazione della diversificazione tematica e geografica a favore dei settori della “old economy” e delle aree geografiche trascurate. Con la massima serenità, diamoci un appuntamento tra sei o sette anni per valutare la fondatezza della diversificazione suggerita, basata soltanto sulla constatazione di una ciclicità piuttosto consolidata, anche se dalle origini misteriose”, conclude Leroux.

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