Dopo anni di impegno condiviso per costruire un mondo globalizzato e iperconnesso, sembra che ora il trend sia opposto. I movimenti del commercio globale sono una tematica fondamentale che definisce e costruisce l’economia mondiale e, proprio per la sua centralità, è uno dei focus principali anche nei programmi elettorali di tutti i principali partiti nelle elezioni in tutto il mondo. Repubblicani e Democratici statunitensi, chiaramente non sono esclusi.
Tariffe, guerra commerciale e deglobalizzazione completa sono solo alcune delle tematiche affrontante da Trump e Harris in vista delle elezioni presidenziali statunitensi, ma quali sono davvero gli obiettivi dei due candidati e quali saranno gli effetti sul mercato?
Elezioni: dall’espansione al protezionismo
Dal primo mandato di Trump, iniziato a gennaio del 2017, si è iniziato a parlare per la prima volta dopo moltissimi anni di protezionismo per gli Stati Uniti. Nei suoi quattro anni da presidente è riuscito a trasformare completamente la dialettica che ruota intorno al commercio. Il cambiamento più effettivo è stato, senza dubbio, l’implementazione di nuove tariffe, ovvero delle tasse imposte ai beni e ai servizi importati da altri Paesi. La Cina è stata la nazione più colpita da queste tariffe, dando il via ad una vera e propria guerra commerciale tra le due principali economie del mondo, ma anche l’Europa non ne è uscita incolume. Mentre il rapporto tra gli States e il Dragone è andato via via a sgretolarsi, grazie alla Trans-Pacific partnership e alla rinegoziazione della NAFTA, sono cambiati anche i rapporti con i 12 paesi dell’area pacifica, Messico e Canada.
Appena Biden è stato eletto, molti esperti erano convinti che le tariffe imposte da Trump sarebbero state annullate e, invece, questo non è successo. Certo, le tariffe nei confronti dell’Europa sono state messe in pausa, ma i rapporti con la Cina sono rimasti congelati, con le tariffe che sono arrivate fino a 18miliardi di dollari, quasi tutte incentrate sui settori legati al mondo dei semiconduttori e dei veicoli elettrici.
Che sia chiaro, questo nuovo movimento verso il protezionismo non è una prerogativa solo americana. Dopo lo scoppio della pandemia nel 2019, tutte le principali economie hanno cercato di modificare le catene di fornitura e portarle sempre più vicino, se non direttamente all’interno dei confini nazionali.
Commercio ed elezioni: prospettive per i prossimi quattro anni
Tra meno di un mese si terranno le elezioni più attese dell’anno, ma non si tratta dell’unico momento cruciale per i rapporti commerciali tra gli Stati Uniti e le altre grandi economie del mondo. A marzo 2025, ad esempio, sarà necessario ridiscutere le tariffe con l’Europa che al momento sono in pausa, ma il partito repubblicano sembra più che pronto a riattivarle ed alzarle fino al 10%, non solo per il Vecchio Continente, ma per tutto il mondo.
Partendo dalle promesse elettorali di Trump, il suo orientamento verso il protezionismo e il cosiddetto America First è chiarissimo: si parte dal rialzo delle tariffe per la Cina al 60%, passando per altre imposte su tutti gli altri Paesi del mondo. Secondo Gil Fortgang, Washington analyst di T Rowe Price, si tratta di un piano potenzialmente rischioso, imponendo delle tasse anche a quei Paesi che per ora sono sempre stati ottimi partner commerciali. Però, secondo gli esperti, la linea tra la retorica elettorale e i cambiamenti pratici nel caso di vittoria alle elezioni potrebbe essere molto forte, anche perché sarebbe necessario il supporto del Governo per passare dalla teoria alla pratica e non è detto ci sarà. Ma non solo, un occhio di riguardo va anche nei confronti dei rischi dell’imporre dei tassi a tutti i Paesi che importano negli Stati Uniti, perché potrebbero rendere più complicato trovare un piano b nel caso in cui la fornitura statunitense non fosse più abbastanza.
Guardando invece agli obiettivi di Kamala Harris, il discorso sembra essere molto meno in focus. “Essendo stata la vicepresidente sotto il governo Biden – secondo Fortgang – è lecito immaginarsi che potrebbe puntare a mantenere le attuali tariffe imposte alla Cina, senza aumentarle, e senza imporre nuove tariffe all’Europa o agli altri Stati con cui vi è già un legame commerciale”.
Nonostante una politica più soft, comunque rimane altamente improbabile un’inversione di marcia sul fronte del protezionismo, questo perché la spinta verso le industrie americane arriva indiscutibilmente da entrambi i partiti. Ma non solo, una volta che le tariffe sono state introdotte, è molto difficile toglierle: le industrie che ricevono i benefici da queste tariffe, ad esempio, si abituano e fanno pressione affinché queste rimangano in vigore.
Conclusioni e rischi per i consumatori
È bene anche considerare gli effetti delle tariffe sull’economia del Paese. Chris Kushlis, Chief emerging markets macro strategist di T. Rowe Price spiega, infatti, che “la moneta del paese che impone le tariffe dovrebbe apprezzarsi, mentre la valuta del paese che riceve le tariffe dovrebbe deprezzarsi per compensare la perdita di competitività dovuta alla tariffa. Le tariffe sono inoltre tipicamente inflazionistiche per il paese che le impone e deflazionistiche per il paese che le riceve”. Insomma, aumentare le tariffe ha un effetto diretto anche su chi sostiene il costo, ovvero il consumatore finale o l’azienda che esperta il bene. Cosa accadrà quindi nei prossimi mesi? L’unica opzione è aspettare e vedere chi si siederà alla Casa Bianca a gennaio.