America first: la partenza comune di repubblicani e democratici

Mentre gli Stati Uniti si preparano alle elezioni presidenziali, entrambi i candidati sembrano condividere la necessità di rendere gli States indipendenti dalle importazioni estere, partendo dalla ripresa del sistema manifatturiero interno

Decenni, se non quasi un centinaio di anni, sono stati necessari per costruire una politica commerciale condivisa, basata su regole comuni, multilateralismo e una riduzione delle tariffe. Ma sono bastati i primi due anni del mandato di Trump a rompere questo, a quanto pare, fragile equilibrio.
Anche sotto il più recente governo democratico la situazione non è cambiata. Biden, invece che invertire le tariffe imposte alla Cina, non solo le ha mantenute, ma ne ha annunciate di nuove, tra cui una del 100% sull’importazione di veicoli elettrici.
La cosiddetta America First è ormai una politica standard, condivisa da entrambi i partiti ed escludere la Cina è solo uno degli obiettivi legati a questo piano. L’aspetto più significativo è infatti lo sviluppo di una forte politica industriale interna attraverso investimenti statali come l’Inflation Reduction Act o il Chips Act.

Trump pronto ad un secondo mandato: cosa cambia per il commercio

Se già il presidente Biden era in svantaggio rispetto a Trump in molti sondaggi nazionali, dopo la debacle del primo dibattito, la svantaggio dell’attuale residente della Casa Bianca è aumentato fino a due punti.
Ma cosa accadrebbe al commercio statunitense se The Donald venisse effettivamente rieletto? Tra i nomi più sentiti come Segretario del Tesoro vi è Rober Lighthizer, già conosciuto ai più per la sua agenda radicale intitolata ‘No Trade is Free”.

Negli ultimi anni il rapporto con la Cina ha continuato a deteriorarsi, ma la produzione non è passata dal Dragone agli Stati Uniti, si è semplicemente spostata in altri Paesi terzi, come il Messico. Sono quasi 25anni che il comparto manifatturiero degli States è fermo, è sono necessari ingenti fondi per farlo ripartire. Sicuramente la nuova legge sulla produzione di chips ha dato una prima scossa, portando ad un’impennata nella costruzione di impianti produttivi, ma la strada è ancora lunga.

Dal friendshoring alla deglobalizzazione

Sentendo i discorsi di Lighthizier, l’obiettivo politico non sembra quello di selezionare un nuovo +1 per gli Stati Uniti, trovando una nuova sicurezza delle catene di approvvigionamento e abbracciando il freindshoring, ma sviluppare una nuova industria manifatturiera nazionale che permetta di bilanciare il deficit commerciale con la Cina e con il resto del mondo.

Insomma, sembra che un settore manifatturiero forte sia un fattore imprescindibile per il successo economico degli States. Ma gli economisti sembrano divisi a metà. Tim Drayson, Head of Economics di Legal & General Investment Management, ritiene che una parte sia convinta che “lo sviluppo di questo settore potrebbe creare posti di lavoro meglio retribuiti e sostenga i lavoratori meno qualificati, con la convinzione che molti posti di lavoro nei servizi siano il risultato diretto della creazione di una base manifatturiera”. D’altro canto, altri continuano invece a sostenere il libero scambio e ritengono che il deficit commerciale sia dovuto principalmente allo squilibrio tra risparmio e investimento degli Stati Uniti, attualmente dominato da un forte indebitamento pubblico.
Forse varrebbe la pena chiedersi se la scarsa produttività del settore manifatturiero statunitense sia davvero causata dalla concorrenza sleale estera o forse solo da un profondo disinteresse.

Dalla teoria alla pratica

È facile parlare di un nuovo equilibrio commerciale nei pamphlet elettorali, ma dalla carta alla pratica la strada è lunga e complicata. Non solo sarà necessario imporre delle tariffe globali generalizzate e discutere nuovamente di una tassa di aggiustamento alle frontiere, ma i Paesi dovrebbero rivalutare le loro valute rispetto al dollaro.
Oggi, tutto quello che ha un valore inferiore agli 800 dollari è esente dai dazi doganali, quindi si potrebbe pensare di diminuire questo minimis, oppure aumentare le regolamentazioni per garantire che le importazioni rispettino le stesse regole dei produttori nazionali statunitensi – come già accade in Europa.

In una simile situazione la Cina verrebbe ancora di più vista come l’avversario economico per eccellenza, e gli States potrebbero cercare di rallentare il suo sviluppo tecnologico.
Ma perché il Dragone fa così paura? Secondo l’esperto il timore è che l’opposizione economica potrebbe essere solo il punto di partenza per un conflitto militare.

Insomma, da qualunque lato si guardi, una cosa deve essere chiara: l’era delle importazioni a basso costo per gli Stati Uniti potrebbe ormai essere finita, ma saranno davvero disponibili ad aumentare i costi a discapito dell’efficienza?

Quali sono i titoli da inserire ora nel portafoglio avvicinandosi alle elezioni statunitensi?

Compila il form ed entra in contatto gratuitamente e senza impegno con l’advisor giusto per te grazie a YourAdvisor.

Articoli correlati