Quando si parla di transizione energetica, viene sempre vista come un cambiamento necessario e si tendono ad analizzare tutti gli effetti positivi che porterà con sé, dimenticandosi però dei compromessi economici, ambientali e sociali che il mondo si troverà ad affrontare nel prossimo decennio. In effetti, vista la centralità del comparto energetico, il possibile aumento dei prezzi avrà un impatto amplificato su tutta l’economia e un’influenza diretta sull’inflazione. Considerando quanto l’inflazione impatti la vita di tutti, essendo praticamente una tassa silenziosa che incide sul potere di acquisto, è facile capire perché è fondamentale studiare e calcolare l’impatto economico della transizione sostenibile.
Dalla sicurezza energetica alle dinamiche legate alle materie prime, dagli impatti fisici sul clima alle conseguenze per la salute, passando anche per la competitività dei costi e l’inquinamento atmosferico, sono tutti fattori imprescindibili quando si parla di una svolta sostenibile, ignorare anche solo uno di questi significherebbe non avere una visione completa.
Dal cambiamento climatico alla transizione sostenibile: tra costi e vantaggi
Non ci sono dubbi sul fatto che il cambiamento climatico sia uno shock negativo permanente, con un impatto diretto sull’inflazione. Solo per fare qualche esempio, le catastrofi naturali colpiscono direttamente la capacità di approvvigionamento, distruggendo nodi critici – come in questi giorni è accaduto in Tailandia o in Vietnam – creando una corsa alle materie prime e picchi di domanda.
Se non si riuscisse a mettere un freno a questi eventi violenti, anche la formazione dei salari verrebbe trasformata radicalmente. In generale, secondo la Banca Centrale Europea, gli impatti fisici non mitigati del cambiamento climatico potrebbero esercitare una pressione al rialzo tra 0,3% e l’1,18% sull’inflazione annuale nel prossimo decennio.
Anche la transizione energetica avrà chiaramente un costo, ma sarà un insieme di shock positivi della domanda e negativi dell’offerta, quindi, proprio per sua natura, la transizione causerà anche lei una nuova ondata inflazionistica. Ma, secondo Lloyd McAllister, Head of sustainable investment di Carmignac, rispetto ad uno scenario senza svolta sostenibile, l’inflazione sarà solo transitoria, arrivando fino ad una crescita dell’1,6% entro i prossimi dieci anni.
Per capire veramente gli effetti della transizione sul mercato, secondo l’esperto, è importante valutare gli effetti di quattro possibili cause dell’inflazione: greenflation, fossilfaltion, demandflation e strandflation.
1) Greenflation: la pressione arriva anche sulle risorse
La domanda di combustibile fossile non potrà scomparire da un giorno all’altro, ma verrà piano piano sostituita da quella delle risorse necessarie per la produzione delle nuove fonti di energia. Metalli e minerali sono ingredienti fondamentali, infatti, per la creazione di turbine eoliche, pannelli solari e batterie elettriche. Secondo le stime di Bloomberg, infatti, la loro domanda è destinata a crescere di almeno sette volte entro il 2040. Ma l’offerta di questi metalli non è infinita, anzi è storicamente anelastica, poiché i progetti di estrazione possono richiedere dai cinque ai venti anni.
Ponendo anche il caso che l’estrazione diventasse più semplice e veloce, anche la lavorazione potrebbe diventare un collo di bottiglia, soprattutto a causa della situazione geopolitica attuale. Ad oggi, infatti, la Cina detiene una quota di mercato dominante nelle fasi di lavorazione e raffinazione dei metalli.
Insomma, “utilizzando le elasticità storiche, la nostra stima è che questa greenflation dovrebbe aggiungere circa lo 0,1% all’IPC. Si tratta di un impatto trascurabile sull’IPC complessivo, che probabilmente sarebbe una tantum, a differenza del percorso pluriennale di inflazione del 20% che consideriamo per il petrolio”, spiega l’esperto.
2) Fossilflation: rapido calo della produzione, ma la soluzione esiste già?
Appena la transizione entrerà nel vivo, i produttori di combustibili fossili inizieranno subito a ridurre, se non addirittura interrompere, la manutenzione dei loro impianti e dei giacimenti esistenti, ritenendoli senza futuro.
Eppure, anche nello scenario più ottimistico di una rapida adozione dei veicoli elettrici, la domanda di petrolio rimarrebbe destinata a crescere fino a 110milioni di barili al giorno almeno fino al 2040, secondo l’Opec. Con la domanda che si mantiene alta, ma la produzione che scende, allora sarebbe necessario aumentare il prezzo del petrolio di circa il 20% all’anno. E questo, chiarisce McAllister, si tradurrebbe in un aumento dello 0,8% dell’inflazione globale annua.
3-4) Demandlation e strandflation: investire nella transizione significa non investire in altro
In fisica si dice che nulla si crea e nulla si distrugge, anche il mercato non è poi così diverso. Ogni centesimo investito negli obiettivi della transizione sostenibile, è un centesimo non investito in altre risorse. Con una differenza però, infatti mentre solitamente le spese e gli investimenti privati derivano da aspettative di profitto, in questo caso la domanda sarà guidata da ampi sussidi e incentivi fiscali, rendendola così meno sensibile alle fluttuazioni dei tassi. In tal senso, spiega l’esperto “l’impatto sui prezzi e sui tassi sarà maggiore rispetto a quello di un boom di investimenti privati”. Questa nuova fonte di inflazione sarà la demandflation, ovvero l’inflazione da domanda.
Negli ultimi anni, alcune tecnologie verdi hanno già iniziato ad essere adottate su larga scala, non tanto per una questione etica, ma di prezzi competitivi: in molti casi l’energia sostenibile è molto più competitiva rispetto ai combustibili fossili o al nucleare, soprattutto considerando i costi di costruzione e aggiornamento della rete. Si tratta di un trend destinato a crescere, ma la spinta sulla domanda potrebbe generare un aumento dell’inflazione di circa lo 0,6% all’anno, lungo tutto il periodo necessario alla transizione.
Bisogna anche considerare che la transizione energetica è solo uno tra i diversi shock che i mercati si troveranno ad affrontare nel futuro. Dall’invecchiamento demografico alla deglobalizzazione, passando anche per una profonda frammentazione geopolitica, tutti fattori che metteranno in bilico il potenziale produttivo. Insomma, la combo tra la spinta sostenibile e una serie di forze strutturali negative, potrebbero limitare la crescita del Pil e l’unica soluzione sarà alzare i prezzi.
In conclusione
A conti fatti, secondo McAllister, “la transizione energetica aggiungerà circa 1,6 punti percentuali all’inflazione ogni anno su un orizzonte di 10 anni, prima di svanire quando la fossilflation si trasformerà in deflazione e il ciclo di investimenti in beni strumentali raggiungerà il suo picco”. Questo significa che, nonostante transitoria, l’inflazione crescente porterà con sé notevoli sfide per le banche centrali europee. Inoltre, considerando che alcune zone del mondo sono più affette dal cambiamento climatico rispetto ad altre, senza un approccio comune e una cooperazione a livello globale, il rischio di un profondo disequilibrio è dietro l’angolo.