Secondo un rapporto condotto da Africarena con il supporto di Microsoft, l’ecosistema delle startup della Savana ha portato a casa un boom del numero degli accordi del +44% nel 2020 (contro un calo del -29% del valore complessivo)
Le startup nigeriane hanno raccolto nel 2020 il maggior numero di investimenti in capitale di rischio per un valore totale di 307 milioni di dollari per 71 operazioni. Seguono le keniote con 305 milioni per 52 operazioni
Solo nel 2021 si parla di investimenti attesi tra i 2,24 e i 2,8 miliardi di dollari. E nel 2022, a parità di condizioni, un’ulteriore accelerazione porterà a un’impennata tra i 3,8 e i 4,7 miliardi, per poi superare i 10 miliardi nel 2025
Chi ha ricevuto più risorse nel 2020?
Stando ai dati Partech esaminati dai ricercatori, infatti, le startup nigeriane hanno raccolto nel 2020 il maggior numero di investimenti in capitale di rischio per un valore totale di 307 milioni di dollari per 71 operazioni e una dimensione media di 4,3 milioni. Un dato comunque inferiore del 59% rispetto ai 747 milioni investiti in 38 operazioni nel 2019, per una media di 19,7 milioni. Eppure, si legge nello studio, l’aspetto interessante è che la Nigeria non è nemmeno nella top5 della classifica delle startup per paese di costituzione e si posiziona 131esima su 190 paesi a livello globale per livello di difficoltà nel fare impresa (stando allo studio Ease of doing business del World bank group).
Al secondo posto c’è il Kenya, che nel 2020 ha raccolto 305 milioni di dollari di investimenti in capitale di rischio per 52 operazioni e una media di 5,9 milioni di dollari; un valore e una media in calo rispettivamente del 46% rispetto al 2019, mentre resta costante il numero degli accordi. In questo caso, gli investimenti in percentuale al prodotto interno lordo sono i più elevati del continente (si parla dello 0,32%), ma anche dell’Asia (0,27%) e dell’Europa (0,16%). Un aspetto legato probabilmente al fatto che i finanziamenti derivano principalmente da investitori stranieri, spiegano i ricercatori. Inoltre, il mercato keniota si posiziona 56° per facilità di fare impresa, dietro Ruanda (38°) e Marocco (53°).
Due modelli per raccogliere capitali
Sembrerebbero esserci poi due modelli che le startup africane mettono in pratica per raccogliere capitali. In primo luogo, il “modello nigeriano”, secondo il quale i fondatori posizionano le sedi delle proprie società negli Stati uniti o in altre regioni favorevoli agli investitori. Un approccio confermato anche dall’African private equity and venture capital association, che ha rilevato come tra il 2014 e il 2019 il 21% degli accordi abbia riguardato società con sede al di fuori dell’Africa (il 53% delle quali proprio negli Stati Uniti). Il secondo modello, invece, è quello “keniota”. Adottato da paesi (come Egitto, Ghana e Ruanda) che si stanno adoperando per promulgare leggi che facilitino il dispiegamento di capitali da parte di investitori stranieri, rendendo più semplice la loro stabilizzazione sul territorio.
Certo, da un punto di vista globale l’ecosistema africano è ancora “contenuto”: si parla di 3,9 milioni di dollari al giorno di investimenti di venture capital nel 2020, contro i 428 milioni degli Stati Uniti, per esempio. Eppure, secondo i ricercatori, le startup della Savana si stanno preparando a un quinquennio di finanziamenti record. Solo nel 2021, si parla di investimenti attesi che oscilleranno tra i 2,24 e i 2,8 miliardi di dollari. E nel 2022, a parità di condizioni, un’ulteriore accelerazione porterà a un’impennata tra i 3,8 e i 4,7 miliardi, per poi continuare negli anni successivi e superare i 6,8 miliardi nel 2023, gli 8,8 miliardi nel 2024 e i 10 miliardi nel 2025.