Fu l’ultimo quadro di Caravaggio. Il Martirio di Sant’Orsola, Michelangelo Merisi (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) lo dipinse nelle ultime concitate settimane della sua esistenza errabonda, mentre si trovava per la seconda volta a Napoli. E a Napoli, presso le Gallerie d’Italia di via Toledo – dopo secoli di oblio – l’olio su tela (143 × 180 cm) alberga, fiore all’occhiello della collezione di Intesa Sanpaolo. Una tela dalla valenza speciale: è la penultima conosciuta di Caravaggio, dopo il recentissimo ritrovamento dell’Ecce Homo. Di recente ha potuto deliziare quasi 300.000 visitatori della National Gallery di Londra. In occasione dei 200 anni dell’istituzione infatti, il gruppo bancario guidato da Carlo Messina lo ha prestato al prestigioso museo, che gli ha cucito addosso l’esposizione “The Last Caravaggio”.
La mostra si è conclusa il 21 luglio 2024. Ha macinato il record di più di tremila ingressi al giorno, numero che la rende la terza più visitata degli ultimi dieci anni per il museo britannico. Che il Caravaggio eserciti un fascino perdurante, certo non sorprende. Ma il dipinto in questione reca in sé, oltre al sapore del genio, quello dell’ineluttabilità. La commissione arrivava dal principe genovese Marcantonio Doria, la cui famiglia aveva in Sant’Orsola la sua protettrice. Dalle carte risulta che il quadro il 18 luglio 1610 (giorno della morte dell’artista) fosse già a Genova.
L’ultimo quadro dipinto da Caravaggio
Il Merisi dipinse la tela nella frenesia delle sue ultime (inconsapevoli) settimane di vita. Si apprestava allora infatti a partire per Porto Ercole, nell’Argentario, dove avrebbe dovuto compiere le necessarie formalità per essere graziato dal bando capitale che gravava sulla sua testa da quando, quattro anni prima, aveva in una rissa provocato la morte preterintenzionale per dissanguamento del mezzano Ranuccio Tomassoni, ferendolo alla gamba, all’altezza dell’arteria femorale. Tuttavia, quel viaggio gli fu fatale. Caravaggio non conobbe mai la grazia, non rivide mai la sua amata Roma.
Da Napoli a Genova, e poi ancora a Napoli
La fretta di concludere il quadro fu tale che esso uscì dallo studio del pittore con la vernice ancora fresca. L’incauta servitù dei Doria lo espose al sole, circostanza che avrebbe causato gravi danni alla tela. L’opera fa ritorno a Napoli un paio di secoli dopo, nella prima metà dell’ottocento, pervenendo per via ereditaria al ramo Doria dei principi d’Angri. Quindi, un altro secolo dopo, giunge ai baroni Romani Avezzano d’Eboli. La avrebbe infine acquistata nel 1972 la Banca Commerciale Italiana come opera del maestro tardo barocco Mattia Preti (1613-1699).
Mattia Preti? Sì. Le vicende attributive del quadro sono state alterne fino alla sensazionale scoperta del 1980, essenziale per fugare ogni dubbio. In quell’anno infatti si ritrova nell’archivio Doria D’Angri una lettera scritta a Napoli il 1º maggio 1610 da Lanfranco Massa, cittadino genovese e procuratore nella capitale partenopea della famiglia Doria. Il documento risultava diretto a Genova per Marcantonio Doria, figlio del Doge Agostino. Così recitava la missiva: «Pensavo di mandarle il quadro di Sant’Orzola questa settimana però per assicurarmi di mandarlo ben asciuttato, lo posi al sole, che più presto ha fatto revenir la vernice che asciugatole per darcela il Caravaggio assai grossa: voglio di nuovo esser da detto Caravaggio per pigliar suo parere come si ha da fare perché non si guasti».
Il “Martirio di Sant’Orsola” di Caravaggio, il grande restauro di Intesa Sanpaolo
È a Banca Intesa che si deve la grande operazione di restauro della tela di Caravaggio, compiuta fra il 2003 e il 2004 presso l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma, capace di ripristinare l’originaria coerenza dell’immagine, ora più fedele e prossima alle intenzioni dell’autore. Grazie all’intervento conservativo, si sono scoperti nuovi dettagli del dipinto. Innanzitutto, il braccio con la mano tesa di un personaggio che tenta invano di arrestare la freccia scoccata dal carnefice. Il tendaggio sul fondo, che suggerisce un’ambientazione nell’accampamento del re degli Unni. Infine, le sagome di un paio di teste dietro al piano della santa.
Il “Martirio di Sant’Orsola” di Caravaggio è anche il suo ultimo autoritratto
Il genio di Caravaggio sceglie di raffigurare il momento stesso in cui la ragazza, avendo rifiutato di concedersi ad Attila, viene da lui trafitta con una freccia. Ma soprattutto sceglie l’istante in cui il femminicida prende consapevolezza (e forse pentimento) del gesto appena compiuto. Il tiranno è un vecchio in abbigliamento secentesco, come tutti i personaggi della scena. Una decisione figurativa che all’epoca rendeva contemporanea la tragedia (Sant’Orsola muore il 21 ottobre 383 dopo Cristo). Il complesso gioco di luci e ombre plasma la teatralità dell’ambiente. A prevalere in questo caso però sono le ombre, sintomatiche del travaglio in corso nella vita del pittore.
Orsola ha il corpo già completamente esangue, e china il capo come a voler osservare lo strumento del suo martirio. Tre barbari accorrono a sorreggerla. Ma il dettaglio che tocca è l’autoritratto dell’artista. Caravaggio raffigura se stesso, come altre volte (si pensi al Martirio di San Matteo, al Bacchino Malato, al Battista decollato), ai margini della scena. La sua espressione è di sorpresa e sgomento. La bocca spalancata e gli occhi dolenti esprimono empatia con la vittima di femminicidio, benché lo sguardo sia rivolto al carnefice. Forse un modo per ricordare l’origine del suo tormento?
Non solo Caravaggio, la collaborazione in corso fra Intesa Sanpaolo e la National Gallery di Londra
Michele Coppola, direttore esecutivo per l’arte, la cultura e i beni storici di Intesa Sanpaolo non nasconde la sua soddisfazione per l’esito della collaborazione con la prestigiosa istituzione britannica: «La partecipazione eccezionale del pubblico all’esposizione dell’opera di Caravaggio alla National Gallery a Londra ci rende orgogliosi di aver contribuito, con l’opera più preziosa dalle collezioni di Intesa Sanpaolo, alle celebrazioni di uno dei musei più prestigiosi al mondo». Un successo che lascia spazio al prosieguo dell’intesa: «Continueremo a collaborare con la National Gallery attraverso il sostegno alla mostra dedicata a Siena e alla pittura del Trecento nell’ambito delle nostre attività di promozione dell’arte e della cultura italiana all’estero».
Il riferimento di Coppola è alla mostra The Rise of Painting. 1300 – 1350 che aprirà alla National Gallery dall’8 marzo al 22 giugno 2025 dopo un debutto autunnale al Metropolitan Museum of Art di New York. Con oltre cento dipinti, sculture, oreficerie, tessuti, la mostra approfondirà un momento straordinario agli albori del Rinascimento italiano e il ruolo cardine svolto da artisti senesi come Duccio, Pietro e Ambrogio Lorenzetti e Simone Martini nella definizione della pittura occidentale.