Era stato per anni un semplice vaso porta ombrelli, seminascosto dietro l’uscio di casa, poi divenuto parte di un’eredità il cui gusto non incontrava quello del nuovo proprietario. Un occhio esperto ne ha tuttavia carpito il valore storico-artistico e, nel 2019, un’aggiudicazione da 2,5 milioni di euro lo ha consacrato tra le migliori vendite del Dipartimento di Arte Orientale di Pandolfini Casa d’Aste, guidato da Thomas Zecchini.
Risultati record sono rari in questo mercato?
“Al contrario: negli ultimi 20 anni il comparto dell’arte orientale ha registrato un incremento stabile e continuo a livello internazionale. Specialmente per quanto riguarda l’espressione più apprezzata dai collezionisti: la porcellana di manifattura imperiale cinese. Come per il top lot di Dipartimento, un vaso policromo a fondo giallo con marchio Qianlong, che da una stima di 25.000 – 35.000 euro ha raggiunto la straordinaria cifra di 7 milioni”.
Chi apprezza maggiormente l’arte orientale?
“In Italia attira una piccola nicchia, mentre a livello internazionale radura molti appassionati. La maggioranza degli (attivissimi) compratori sono stranieri, perlopiù cinesi; tra essi una quota significativa è rappresentata dalle istituzioni museali. Uniti da un obiettivo comune: reintrodurre nel paese quanto esportato in Occidente tra Settecento e Novecento, quando l’Oriente e le sue arti affascinavano i viaggiatori e i collezionisti europei più sofisticati”.
In questo settore è forte l’apprezzamento anche per le copie di opere antiche?
“Sì, l’interesse è forte anche per le copie di opere antiche realizzate all’inizio del XX secolo, che totalizzano cifre importanti nonostante non costituiscano opere ‘originali’ in senso stretto. Si tratta di una differenza culturale che getta le sue radici nella pratica dei maestri cinesi di incitare gli allievi a copiare i propri lavori. A determinare la bravura dell’artista non era infatti l’originalità del concetto quanto la padronanza della tecnica. Ecco perché l’intollerabilità al falso e alla copia tipica dell’Occidente non è così sentita in Cina”.
Cosa determina il valore di un’opera d’arte orientale?
“Fondamentale è lo stato di conservazione, vera discriminante per determinare il valore economico di un’opera insieme alla rarità e alla bellezza del soggetto e della forma. Con un plus che spinge subito al rialzo le stime, ovvero la presenza di un riferimento simile nella collezione di un museo importante, sempre segnalata nei nostri cataloghi grazie a un solerte lavoro di ricerca. Un po’ come accaduto per un vaso in cloisonné a forma di cuore girevole con complesse decorazioni in smalto della dinastia Qing (periodo Qianlong-Jiaqing), all’incanto l’8 maggio scorso, presente con un oggetto simile nel Museo del Palazzo di Pechino, battuto per 138.600 euro”.
L’esperto
Thomas Zecchini, Capo Dipartimento Arte Orientale
Si appassiona alla Cina dopo averla sentita raccontare dai mercanti locali conosciuti lavorando nel mondo dell’antiquariato. Successivamente, approfondisce la conoscenza del mercato orientale collaborando con alcune case d’asta internazionali. È a capo del Dipartimento Arte Orientale di Pandolfini dal 2014.
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Articolo tratto dal numero di aprile 2024 del magazine We Wealth. Abbonati qui.