Le probabilità che la Fed taglierà i tassi già nella riunione del prossimo settembre sono salite dal 71,3% al 94,5% in seguito alla pubblicazione dei dati sull’inflazione statunitense di giugno, che ha registrato un calo generalizzato dei prezzi dello 0,1% rispetto al mese precedente (primo ‘segno meno’ dal gennaio 2020) e un raffreddamento del tasso annuo dal 3,3 al 3%.
Anche i dati sull’inflazione di fondo, maggiormente monitorati in questa fase, sono saliti meno del previsto, segnando un +3,3% su base annuale e un +0,1% su base mensile (contro le attese di +3,4% e +0,2%, rispettivamente). In particolare, il tasso di rincaro mensile del settore dei servizi, importante per comprendere quanto il costo del lavoro si stia traducendo in aumenti dei prezzi, è sceso per il secondo mese consecutivo, portandosi dallo 0,2% allo 0,1% a giugno (con un tasso annuo al 5,1%).
Cosa significano questi dati per la Fed
Il presidente della Fed, nel corso degli ultimi interventi pubblici, aveva chiesto ulteriori segnali di raffreddamento dell’inflazione o deterioramento del mercato del lavoro prima di poter dare l’impulso al primo taglio dei tassi del ciclo Fed. Il dato sull’inflazione di giugno, dopo il raffreddamento mostrato dai dati occupazionali, sembra completare la casella più importante in vista della seduta di settembre: quella che nella prospettiva degli investitori dovrebbe dare il via al primo di due tagli nella seconda metà dell’anno. “Le pressioni inflazionistiche hanno evidenziato un rallentamento significativo e per tale ragione diventa sempre più probabile la possibilità di un taglio dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nel meeting di settembre (17-18 settembre)”, ha sottolineato il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich. “La prossima riunione di luglio (30-31) sarà propedeutica per Powell per anticipare un prossimo cambio di politica monetaria con un probabile taglio dei tassi di interesse nei prossimi mesi.”
Oro e Buoni del Tesoro Usa in rally: vendite su Wall Street
Le posizioni degli investitori si sono adeguate al quadro macroeconomico, nell’aspettativa che l’interpretazione che la Fed darà di questi numeri giustificherà un allentamento della politica. Forti gli impatti sui maggiori mercati influenzati dai tassi Fed: il rendimento dei Treasury a un anno è sceso a un minimo del 4,892%, livello più basso toccato da metà febbraio, mentre il decennale è sceso a 4,183% – in entrambi i casi un calo attorno ai 10 punti base. Nel frattempo, l’oro ha fatto un balzo del 2% a quota 2.426,30, puntando nuovamente sui livelli record fissati nel corso di quest’anno a 2.454,20 dollari l’oncia. A Wall Street, invece, la conferma del rallentamento dell’inflazione è sembrata soprattutto l’occasione per prendere beneficio, dopo i livelli record raggiunti nella precedente seduta. Attorno alle ore 18 italiane il Nasdaq Composite cedeva oltre l’1,8%, ridimensionando i guadagni delle ultime sedute a un +0,5%; nel frattempo l’S&P 500 era in perdita dello 0,87%.
Dollaro in caduta
“I movimenti più significativi sono stati nel valutario con le forti vendite sul dollaro”, ha affermato Diodovich “La coppia valutaria EUR/USD è salita di 50 punti base, quasi a toccare il limite di 1,09, e quella GBP/USD è passata da 1,2870 a 1,2930. Il movimento più rilevante è stato quello del dollaro/yen, sceso di quasi 2 punti percentuali passando da 161,50 a 158,45 sulla scia delle operazioni di vendita di grandi fondi che avevano tante posizioni lunghe aperte sul cambio.”