Gli assicurativi si rivolgono agli alternativi per colmare il vuoto creato dagli scarsi ritorni obbligazionari dell’ultimo decennio a causa dei tassi di interesse bassi. L’ultima indagine globale pubblicata da Natixis mostra come a dieci anni dalla crisi finanziaria, gli investitori devono ancora affrontare notevoli difficoltà dovute al contesto di bassi rendimenti, con il conseguente aumento delle passività e l’ampliamento del disallineamento sulla duration. Di conseguenza, sottolinea la ricerca, gli assicuratori sono disposti ad assumersi maggiori rischi di liquidità alla ricerca di rendimenti più elevati. Tre quarti (75%) di loro affermano che l’allocazione verso asset alternativi sia essenziale, e il 53% di utilizzare sempre più spesso gli strumenti alternativi al posto di quelli a reddito fisso.
“Nell’ultimo decennio, gli operatori assicurativi sono stati condizionati dal contesto di bassi tassi di rendimento. Investimenti come il private debt, il private equity e altri investimenti alternativi forniscono una soluzione potenziale alla riduzione dei ritorni sul mercato obbligazionario, dove gli assicuratori si sono tradizionalmente posizionati nella speranza di dare stabilità ai rendimenti per far fronte ai loro impegni”, ha dichiarato Antonio Bottillo, Country head e executive managing director di Natixis investment managers per l’Italia, “L’industria assicurativa è sempre più disposta ad assumersi il rischio di liquidità per andare alla ricerca di rendimenti più elevati al fine di trovare un equilibrio tra generazione di alfa e costo del capitale, proteggendo al contempo gli asset dai ribassi”.
L’indagine ha però rilevato come, nonostante sia aumento l’interesse nei confronti delle strategie alternative tra gli operatori assicurativi, quasi tutti (89%) i team di investimento affermano che è l’aspetto normativo a tenerli lontani dall’investimento in queste asset class, in quanto i requisiti patrimoniali regolamentari, ad esempio, portano a orientare il portafoglio verso un’esposizione al reddito fisso a basso rendimento.
Si tratta di un aumento significativo rispetto alla stessa indagine del 2015, quando non era ancora entrato in vigore Solvency II. Nell’indagine passata solo la metà degli operatori di settore aveva affermato che la regolamentazione e i requisiti patrimoniali avevano limitato gli investimenti in nuove e alternative asset class.
Nonostante ciò, quasi tutti gli operatori assicurativi (93%) si ritengono ben preparati all’evoluzione del contesto normativo, un importante miglioramento rispetto all’indagine del 2015, quando due terzi degli intervistati europei e statunitensi avevano ammesso di non essere pronti a modifiche sul fronte normativo.
Tra le principali ragioni indicate come motivo che spinge a non incrementare il ricorso alle strategie alternative in portafoglio vi sono:
– complessità (51%)
– le restrizioni agli investimenti nell’ambito della loro organizzazione (42%)
– costi (42%).
– vincoli normativi (41%)
– problemi di liquidità (37%)
Mentre gli operatori assicurativi si confrontano con la complessità normativa ed esecutiva che deriva dalla ricerca di rendimenti più elevati e dal passaggio ad asset class alternative, i team di investimento si avvalgono sempre più spesso di competenze esterne per accedere a capacità innovative e specializzate. Sette su dieci (72%) dei partecipanti all’indagine esternalizzano alcuni dei propri portafogli, con il 10% degli operatori assicurativi che delega l’intero portafoglio a una società esterna. In media, gli investitori di settore esternalizzano quasi la metà (48%) del proprio portafoglio.
“Gli investitori stanno affrontando nuove sfide, mentre il contesto normative si radica sempre più nel settore, e non sorprende che la maggior parte di loro si rivolga a specialisti esterni per aiutarli ad affrontare le molteplici complessità del mercato odierno”, conclude Bottillo.