Il calo dei rendimenti dei Treasury registrato nell’ultimo trimestre ha riportato il sorriso sul volto degli investitori obbligazionari e il sentiment condiviso è che il peggio per il mercato obbligazionario potrebbe essere passato. Ma è veramente così? La risposta, come riportano Jennah Barnard e Dillan Shah del Global Bonds Team di Janus Henderson Investors, potrebbe fornircela l’analisi della volatilità nel tempo. Vediamo perché.
La relazione volatilità-rendimento
Secondo le esperte della casa di gestione angloamericana, guardando alle serie storiche si nota che i rendimenti dei Treasury statunitensi a 10 anni sono sempre scesi dopo un periodo di rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve (Fed), indipendentemente dal contesto di inflazione. Questo trend è osservabile dal 1960 ad oggi, sebbene con dinamiche di decremento molto diverse tra loro.
Variazione del rendimento del Tesoro USA a 10 anni dopo l’ultimo rialzo dei tassi
Dal luglio 2023, i rendimenti del Treasury decennale seguono un percorso simile a quello degli anni ’70 (linea arancione). “Osservando da vicino il mercato obbligazionario in questo periodo – spiega Barnard – abbiamo osservato che una condizione necessaria per un rally duraturo del mercato obbligazionario era un calo sostenuto della volatilità effettiva del mercato obbligazionario, cosa che sembra stia iniziando negli Stati Uniti e che è già stata raggiunta in modo duraturo in altri mercati”.
Superamento della soglia di volatilità
Nel recente mercato ribassista triennale, si è tornati a un regime di volatilità simile a quello del periodo 1960-2000, in cui l’aumento della volatilità era correlato all’aumento dei rendimenti obbligazionari. Al contrario, nel periodo 2000-2020, l’aumento della volatilità spesso coincideva con un calo dei rendimenti. “I regimi di volatilità tendono a persistere – commenta Shah – sia perché sono associati a un cambiamento del rischio economico o del contesto politico, sia a causa delle aspettative adattive, in cui i mercati tendono a formarsi aspettative sul futuro sulla base di quanto accaduto nel passato prossimo”.
Analizzando il mercato obbligazionario statunitense dal 1960 al 2000, si nota che un calo della volatilità al di sotto di un determinato livello di volatilità era una condizione essenziale per dare vita a un rally sostenibile delle obbligazioni. “Questa soglia chiave era una volatilità realizzata a 3 mesi del 7,5%, che equivale a una variazione giornaliera del rendimento di 4,7 punti base (bps). Abbiamo studiato la volatilità reale per il semplice motivo che i dati sulla volatilità implicita dei mercati obbligazionari risalgono solo alla fine degli anni Ottanta”.
Dall’inizio di maggio, quando il presidente della Fed Jerome Powell ha annunciato la fine dei rialzi dei tassi in concomitanza con il primo dato sull’inflazione al di sotto delle aspettative e una lettura del mercato del lavoro più debole, il mercato obbligazionario statunitense ha iniziato a seguire la tendenza europea, un segnale incoraggiante. “Sebbene si tratti di una mossa nascente e da sostenere -commenta Barnard – è degna di nota perché suggerisce che le cicatrici del recente mercato obbligazionario stanno iniziando a rimarginarsi”.
Volatilità effettiva e implicita
Prima di analizzare le conclusioni degli esperti di Janus Henderson, è importante ricordare la differenza che sussiste tra volatilità realizzata e volatilità implicita. Posto che la volatilità misura la variazione del prezzo di un titolo in uno specifico periodo, la prima misura la volatilità storica, ossia confronta lo scostamento del prezzo dal suo valore medio, in aumento o in diminuzione. La seconda, invece, è calcolata dai prezzi delle opzioni per fornire un’aspettativa sulla volatilità futura. “Quest’ultima – osserva Shah – è orientata al futuro e può essere considerata come la migliore stima dei trader su quale sarà la volatilità futura realizzata. La volatilità implicita aumenta quando i mercati sono più incerti”.
Le dinamiche dei rendimenti obbligazionari
Andamento storico medio dei rendimenti dei Treasury decennali degli Stati Uniti dopo che la volatilità realizzata ha attraversato valori inferiori al 7,5%
Esaminando i cicli precedenti dal 1960, si osservano due implicazioni fondamentali per i rendimenti obbligazionari:
- I rendimenti non scendono immediatamente ma oscillano in maniera contenuta per i primi uno o due mesi. “In questo lasso di tempo – osserva Barnard – è fondamentale che la volatilità effettiva non torni a salire, dato che nel 1984 c’è stato uno di questi falsi segnali in cui la quest’ultima e i rendimenti hanno iniziato a salire dopo 24 giorni di contrattazioni”.
- Dopo i primi mesi, si entra nel cuore del rally obbligazionario, con rendimenti mediamente più bassi di 20 punti base dopo tre mesi, 90 punti base dopo sei mesi, 120 punti base dopo sette mesi e 100 punti base dopo un anno.
In cinque dei sette esempi studiati, i rendimenti iniziano a scendere entro due mesi dal verificarsi della condizione. “Tuttavia, nel 1997 ci sono voluti tre mesi e mezzo, mentre nel 1990 quattro mesi e mezzo e i rendimenti sono saliti inizialmente di 50 pb. L’esempio del 1990 è in qualche modo complicato dal suo contesto insolito: i tagli dei tassi erano già iniziati e quindi i rendimenti dei Treasury decennali stavano già diminuendo in modo sostanziale”.
Cosa aspettarsi per il futuro
Il calo della volatilità del mercato obbligazionario statunitense è un segnale incoraggiante di guarigione per tutto il reddito fisso e la diminuzione dell’incertezza e la crescente fiducia nella fine del ciclo di inasprimento contribuiscono a ridurre la volatilità. “Non possiamo escludere una sorpresa nei dati economici che provochi una ripresa della volatilità” – commentano le esperte della casa di gestione angloamericana “e ciò potrebbe smentire le attuali indicazioni delle banche centrali, secondo le quali si tratta di capire quando, e non se, è il momento di tagliare i tassi di interesse. Nel complesso, tuttavia, riteniamo che il panorama monetario ed economico si stia delineando per un movimento al ribasso dei tassi a livello globale, che dovrebbe incoraggiare gli investitori a bloccare i rendimenti nel reddito fisso”.