La Banca centrale europea è pronta al tanto atteso taglio dei tassi d’interesse. Nella riunione del 6 giugno Francoforte si distanzierà così dalla Federal Reserve statunitense, procedendo al primo taglio da cinque anni, pari a 25 punti base. Quali conseguenze per l’economia del Vecchio Continente? Lo chiediamo a Kevin Thozet, membro del comitato di investimento di Carmignac.
Tassi giù, ma per la normalizzazione occorre aspettare ancora
“Sul fronte dei tassi” spiega Thozet “l’obiettivo è quello di ridurre i livelli di rigidità della Bce, oggi ai massimi storici e riconosciuti unanimemente tali dal consiglio direttivo, che ammette inoltre come anche con 50 punti base in meno, gli attuali tassi di policy sarebbero comunque estremamente rigidi. Giovedì, quindi, si dovrebbe compiere il primo passo verso il tanto agognato allentamento, con un taglio di 25 punti base che porterà i tassi al 3,75% mentre l’inflazione continua a scendere. Questo è un sollievo per l’economia, ma siamo ancora lontano da una normalizzazione”.
Sul fronte dell’inflazione, i dati relativi ai salari hanno restituito un quadro non omogeneo. “I salari negoziati sono solidi, con un +4,7% su base annua, ma gli indicatori prospettici dei wage tracker indicano una decelerazione dell’inflazione salariale verso il 3%”. Ciò è di buon auspicio per un’ulteriore disinflazione dei prezzi al consumo, con l’inflazione complessiva della zona euro che toccherà il 2% entro l’autunno. “L’inflazione core dovrebbe seguire l’esempio e raggiungere tale soglia entro la metà del 2025”. Per questa ragione, le aspettative del mercato a proposito di un taglio dei tassi per trimestre per il resto dell’anno appaiono dunque caute. ”Non ci sorprenderemmo quindi se la Bce procedesse con tre o quattro tagli, e potenzialmente di più, nel caso di un rallentamento imprevisto”.
Infine, per quanto riguarda il bilancio della Bce, il portafoglio del Pandemic Emergency Purchase Program (PEPP) dovrebbe alleggerirsi di 7,5 miliardi di euro al mese a partire da luglio. “Ciò comporta una riduzione degli acquisti da parte della Bce nella seconda metà dell’anno, mentre i ministeri del Tesoro europei hanno finora emesso meno della metà del nuovo debito per questo anno solare. Ulteriori emissioni dovranno quindi essere assorbite da altri operatori di mercato”.
Le implicazioni per operatori e investitori
Secondo Thozet, l’approccio step-by-step di Francoforte è quello corretto: “Questi tagli ‘precauzionali’ sono positivi per la crescita economica, aumentando la probabilità di un atterraggio morbido per l’eurozona o, più precisamente, di una migliore traiettoria post atterraggio”. L’area euro, infatti è piuttosto sensibile ai tassi: “in particolare, la percentuale di mutui a tasso variabile in Europa meridionale è elevata; allo stesso tempo, la scadenza media del debito corporate è relativamente bassa, quindi i benefici di una riduzione dei tassi dovrebbero essere percepiti in tempi relativamente brevi”.
Questo contesto risulta particolarmente favorevole per i mercati del credito corporate, dal momento che i fondi del mercato monetario perderanno in parte la propria attrattività. “I flussi verso i mercati del credito – spiega Thozet – sono già forti e il sostegno aggiuntivo probabilmente li incrementerà ulteriormente. Tale scenario dovrebbe sorridere anche al comparto azionario europeo e più in particolare a quei segmenti che hanno sofferto per le condizioni monetarie restrittive, viste le prospettive di una ripresa ciclica non inflazionistica. Si tratta di un punto di forza, soprattutto perché le valutazioni nell’area appaiono interessanti sia storicamente sia rispetto al resto del mondo”.
Quanto ai tassi di interesse, i mercati sembrano concordare sulla prospettiva di tre tagli da parte della BCE nel 2024, con il tasso di riferimento che dovrebbe raggiungere o superare la soglia del 3% entro 12 mesi. “Questo scenario appare ottimistico perché non tiene conto di ciò che la BCE potrebbe fare in caso di rallentamento dell’economia. Pur essendo ottimisti sulla parte breve della curva dei rendimenti, non è possibile escludere del tutto una sotto-performance di tassi più alti più a lungo come conseguenza di migliori prospettive economiche e della riduzione del bilancio della BCE”.
Fed e Bce al bivio
Secondo l’esperto della casa di gestione parigina, anche la divergenza delle politiche monetarie tra la Federal Reserve e la Bce è interessante per gli investitori. Se per la Bce il momento dei tagli è ormai arrivato, per la Fed la finestra di opportunità si sta chiudendo con l’avvicinarsi delle elezioni, con una sospensione fino a dicembre che appare sempre più probabile. “La prospettiva di un differenziale del 2% nei tassi di policy nei prossimi sei mesi potrebbe essere un problema per la Bce. Se la Fed dovesse mantenere i tassi alti più a lungo e il differenziale dei tassi di interesse si spostasse troppo a favore del dollaro USA e con lo speculare deprezzamento dell’euro, ciò potrebbe significare un’inflazione importata per il Vecchio continente”.
In altre parole, la Bce dipenderebbe dalla Fed. L’euro sta però tenendo bene per ora. “Al momento, sembra che la Bce procederà indipendentemente dall’operato della Fed, ma se le circostanze dovessero cambiare e una vera e propria reflazione dell’economia diventasse un rischio, la divergenza delle politiche sarebbe chiaramente un problema”, conclude Thozet.