L’Osservatorio benessere e felicità in azienda 2024
La felicità è un diritto inviolabile, ma spesso trascurato: l’edizione 24 dell’Osservatorio benessere e felicità 2024 (promosso da Associazione per la Ricerca della Felicità in partnership con Research Dogma) evidenzia come gli eventi degli ultimi anni (epidemie, geopolitica, guerre e crisi economica) hanno trasformato la sensibilità delle persone verso il tema della felicità.
Forse ci hanno reso leggermente meno felici rispetto a un anno fa, ma di certo hanno aumentato la nostra domanda di felicità. Oggi le persone che si dichiarano felici (molto o moltissimo) sono il 40%. Se aggiungiamo chi si sente abbastanza felice arriviamo all’82% della popolazione italiana che lavora. Un buon risultato, ma che potrebbe non bastare.
Come nella piramide di Maslow, ci si aspetta di vedere soddisfatte le proprie aspirazioni su piani crescenti. La domanda di felicità si manifesta nella nostra vita privata e nella nostra vita
sociale dove il lavoro conta molto. La felicità della popolazione attiva italiana riguardo il lavoro che svolge è leggermente maggiore della felicità per la propria vita. I felici per il proprio lavoro sono il 49%, mentre i felici per la propria vita “solo” il 40%.
In questo senso il lavoro svolto appare mediamente un consolatore: ed è già una notizia, considerato tutto quanto si è detto e scritto sulla crisi delle vocazioni lavorative e sulle great resignation. La felicità è soggettiva, ma anche un fenomeno sociale: l’Osservatorio 2024 dimostra che ci sono segmenti e territori che hanno aspettative di felicità più elevate e che, anche per questo, si dichiarano meno felici. Questo è il caso del Nord-ovest – il territorio per definizione più ricco anche di opportunità di lavoro. È un caso tipico nel quale la ricchezza, intesa come Pil – da sola – non rende felici.
Generazioni a confronto nella percezione della felicità: Gen Z, Gen X, Millennials e boomers
Ma esistono articolazioni anche per “territori sociali” e non solo geografici.
La generazione Z risulta il segmento che esprime maggiori dubbi sulla propria felicità.
A farle compagnia la Gen X, i “circa cinquantenni” di oggi, che iniziano a percepire da un lato l’invecchiamento (con il rischio di obsolescenza professionale) e dall’altro la “lontananza” di prospettive pensionistiche e di alternative serie sul versante professionale.
Per contro, i giovani “trentenni” ancora in carriera (Millennials) vanno a braccetto con i “Boomers”: entrambi sono mediamente più felici, anche se per motivi diversi. I Millenials hanno ancora l’energia e il senso di una carriera e una crescita sociale.
I Boomers hanno mediamente già riconfigurato il loro sistema di attese e in prossimità
della pensione progettano altre vite.
Ma le differenze riguardano anche i livelli aziendali: dirigenti e quadri, impiegati e operai. I più felici sono i dirigenti, assieme ai piccoli imprenditori e lavoratori autonomi. I più infelici sul lavoro: gli operai; con gli impiegati in posizione intermedia.
Gli attuali equilibri di felicità e le implicazioni per il futuro
Gli attuali equilibri di felicità sono sufficienti a determinare un equilibrio del sistema di relazione fra persone e imprese? La risposta sembra tendenzialmente negativa. I livelli attuali di felicità non sono sostenibili, non solo per le persone ma anche per i sistemi di impresa. L’Osservatorio 2024 ci riporta che il 45% dei lavoratori sta valutando se e come riconfigurare la propria vita professionale, lasciando la propria azienda.
Nel desiderio di cambiare (o restare) conta il compenso e lo stipendio. Ma i soldi sono “solo” al secondo posto: al primo c’è la ricerca di “un lavoro che mi faccia crescere”.
Seguono le tematiche classiche di work life balance. Riportare le persone in azienda, dopo tanto smart working, produce resistenze, anche perché sul work-life balance l’Italia è indietro rispetto ad altre culture occidentali. Senza dimenticare le tematiche relative alla qualità della comunità lavorativa, che significa valutare la cultura profonda di quell’impresa.
L’importanza del capitale umano nella strategia d’impresa
La Next Gen vuole avere opportunità di crescita, ma con uno spirito collaborativo e partecipativo. Ai capi è richiesto di essere leader empatici, non basta la forte personalità. Così come non basta più il brand prestigioso, che seduce oggi solo un misero 3% dei candidati. Un ammonimento a intervenire “dentro il lavoro”, ridando al Capitale Umano un posto centrale nella strategia d’impresa.