La incessante presenza sui social networks rappresenta una significativa evoluzione nell’ambito dell’attività di influencer rispetto ai testimonial tradizionali. Con l’ascesa dei social media, il ruolo tradizionale del testimonial pubblicitario è profondamente mutato.
Un tempo, le figure di spicco erano ingaggiate dagli sponsor per partecipare a sessioni fotografiche e riprese video, con l’obiettivo di creare materiale, poi, utilizzato nelle campagne di marketing.
Oggi, invece, il messaggio promozionale viene diffuso direttamente attraverso le pagine social degli influencer o dei loro committenti, eliminando la netta separazione tra la creazione del contenuto ed il suo utilizzo da parte di terzi.
Influencer: una nuova professione
Questo cambiamento ha portato alla creazione di una nuova concezione di popolarità, indipendente dall’attività principale e ha dato vita a una nuova professione capace di generare reddito: l’influencer, invero, svolge un’attività che si configura come un impegno professionale costante, finalizzato alla promozione della propria immagine e, di conseguenza, dei prodotti sponsorizzati.
Il regime fiscale degli influencer: redditi e spese deducibili
Pertanto, ci troviamo di fronte a una nuova metodologia di sfruttamento del diritto d’immagine, che impone inevitabilmente anche una riflessione di natura fiscale.
Relativamente alla imposizione diretta, in assenza di una apposita normativa sul trattamento da riservare ai proventi dell’attività di influencer, la recente giurisprudenza, di cui alla sentenza della Corte di giustizia tributaria di I grado di Torino del 6 aprile 2022, n. 278, ha evidenziato come l’esercizio abituale e professionale della gestione dell’immagine debba essere classificato come reddito da lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53, comma 1, Tuir, o addirittura da attività di impresa ai sensi dell’art. 55 del Tuir, se sostenuta da un’organizzazione di mezzi e persone.
Questo impone agli influencer la necessità di una scrupolosa tenuta contabile, poiché il loro reddito è determinato dalla differenza tra compensi ricevuti e spese sostenute, permettendo deduzioni solamente per spese strettamente connesse all’attività.
Invero, l’influencer potrà dedurre i costi per le spese sostenute (come le spese per abbigliamento e accessori etc.) per l’intero importo se la stesse siano esclusivamente legate (quindi, inerenti) all’attività svolta (e dovrà essere fornita apposita prova nella ipotesi di accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate) oppure nella misura del 50% laddove gli acquisti siano stati effettuati per uso promiscuo. Principio, questo, sancito dalla Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia mediante la sentenza 12 febbraio 2024, n. 468, e valido per il regime cosiddetto “ordinario”.
Le opzioni fiscali degli influencer: regime ordinario vs regime forfettario
In alternativa, non esistendo ostacoli che precludano agli influencer di optare per il regime cosiddetto “forfettario”, gli stessi potrebbero usufruire di una imposta sostitutiva dell’Irpef al 15%, ridotta al 5% nei primi cinque anni di attività, sempre che siano soddisfatti i requisiti prescritti dalla legge. Tuttavia, a differenza del regime ordinario, che consente la deduzione analitica di tutte le spese specificate dall’articolo 54 del Tuir, il regime forfettario non ammette una tale deduzione dei costi.
Iva e obblighi contabili degli influencer
Sul fronte dell’Iva, l’attività degli influencer richiede l’obbligo di partita Iva, imponendo una serie di compiti fiscali complessi legati alla fatturazione e alla contabilità, conformemente alle normative vigenti stabilite dall’articolo 5 del Dpr n. 633 del 1972.
Gli influencer e la difficoltà di localizzazione del reddito
Un maggiore livello di complessità emerge, invece, nella questione della localizzazione del reddito, particolarmente intricata data la natura digitale e globalizzata dell’attività degli influencer.
Mentre i residenti fiscali in Italia sono soggetti a una tassazione su base mondiale, seguendo il principio del world wide taxation; i non residenti devono dichiarare solo i redditi prodotti all’interno dei confini italiani.
Tuttavia, la natura intrinsecamente digitale dell’attività degli influencer complica enormemente la determinazione precisa di tale reddito. La rete, per sua natura priva di confini fisici, sfida le tradizionali nozioni di localizzazione fiscale e capacità contributiva.
Le tasse e i nuovi paradigmi fiscali nell’economia digitale
In risposta a questa sfida, si stanno esplorando nuovi paradigmi derivati dall’economia digitale. Il concetto di “place of value creation”, elaborato nell’ambito del progetto Beps dell’Ocse, suggerisce di collegare l’imposizione fiscale non solo al luogo di residenza del contribuente ma anche a dove effettivamente si genera il valore economico. Concretamente, ciò significa associare la base imponibile al luogo dove gli utenti interagiscono con i contenuti promossi dall’influencer, luogo che contribuisce significativamente alla creazione di valore per l’azienda sponsor.
Una ulteriore evoluzione di questo approccio potrebbe essere rappresentata dal principio di “market jurisdiction”, proposto nel contesto del Pillar One, che suggerirebbe di basare l’allocazione del potere impositivo su metriche come il numero di followers e le interazioni, evidenziando così i luoghi effettivi in cui l’attività economica genera impatto.
Questo scenario richiede un ripensamento critico delle regole fiscali, in un’era dove il confine tra presenza fisica e virtuale è sempre più sfumato. La necessità di un adeguamento legislativo è impellente, per evitare disparità e per garantire che le norme fiscali riflettano equamente le realtà economiche contemporanee.
(Articolo scritto in collaborazione con Jennifer Fuccella, dello studio Marzo Associati)