In Italia, il futuro pensionistico delle nuove generazioni è spesso fonte di grande preoccupazione. Anche per questo, le società che propongono fondi pensione alla clientela possono essere tentate di incoraggiarne l’apertura non solo per ai diretti interlocutori, ma anche ai loro figli. Di fatto, però, questa non è una pratica molto richiesta e diffusa, hanno dichiarato a We Wealth i consulenti finanziari autonomi Andrea Carboni, co-fondatore di HCinque Scf, e Paola Ferrari, Cfp in forza a Consultique Scf.
Fondo pensione intestato ai figli, perché non è un’opzione popolare
Le ragioni che scoraggiano Consultique a raccomandare l’apertura del fondo pensione ai figli sono principalmente due, ha spiegato Ferrari. La prima: i benefici fiscali derivanti dall’apertura di un fondo pensione ai figli non possono sommarsi a quelli di un prodotto analogo intestato al genitore. La cifra massima che può essere portata in deduzione rimane fissa a 5.164,57 euro all’anno. Di conseguenza, i clienti particolarmente sensibili al tema previdenziale, di solito, danno la priorità alla propria pianificazione pensionistica esaurendo le somme massime da portare in deduzione – e aprire un fondo pensione senza poter contare sull’incentivo fiscale risulta meno conveniente rispetto ad altre opzioni più efficienti.
La seconda ragione consiste nell’incertezza sulle future esigenze del figlio che potrebbero essere poco conciliabili con uno strumento che, in buona parte, vincola le somme investite. In particolare, dopo 8 anni dall’apertura del fondo diventa possibile ritirare fino al 75% del capitale per l’acquisto o la ristrutturazione della casa, e fino al 30% per qualsiasi altro motivo.
“È sicuramente importante aiutare un figlio a costruirsi una pensione integrativa, ma è prioritario aiutarlo e supportarlo nel pianificare le prime entrate/uscite”, ha affermato Ferrari, “pertanto, non consigliamo di aprire un fondo pensione al proprio figlio se è ancora piccolo, dal momento che l’investimento è molto vincolante”. Infatti, se i genitori dovessero avere bisogno di quelle somme prima del raggiungimento della maggiore età del figlio, dovrebbe intervenire l’autorizzazione del giudice. Inoltre, come dichiarato in precedenza, “il figlio, una volta maggiorenne, potrà riavere solo una parte di quanto versato per giustificato motivo”. Non è facile prevedere quali saranno le esigenze per i figli, se lavoreranno all’estero o se avranno bisogno delle somme investite per altre evenienze, per le quali bloccare il 70% del capitale del fondo pensione potrebbe rivelarsi controproducente.
Buono postale per minori, la soluzione a basso rischio
Quali sono, dunque, le principali alternative per trasmettere un capitale ai figli in modo efficace ed educare al risparmio? “Per importi contenuti e per chi ha una bassa propensione al rischio, dati i tassi di interesse attuali, una soluzione potrebbe essere il buono postale dedicato ai minori”, ha affermato Ferrari. Al momento di pubblicazione, l’investimento di 10.000 euro per un figlio nato il 1° gennaio 2023 porterebbe, al gennaio 2041, a un capitale rivalutato di 24.584,05 euro, al netto delle imposte.
Pac in Etf, l’opzione più ambiziosa
Per chi desiderasse una gestione più ambiziosa e capace di valorizzare il capitale nel tempo, a fronte di maggiore rischio, Consultique raccomanda la costituzione di un piano di accumulo in Etf, prodotti finanziari semplici e caratterizzati da costi nettamente più bassi rispetto ai fondi comuni. Rispetto al fondo pensione, una differenza decisiva è data dal fatto che sono “facilmente liquidabili”: il che significa che in caso di necessità, sia il genitore, sia il figlio maggiorenne potrebbero decidere di disinvestire interamente la somma per far fronte a spese o modificare la propria pianificazione.
Polizze vita, la “cassaforte” (spesso cara)
Fra le altre opzioni tipicamente utilizzate nella pianificazione successoria, ma raccomandate con maggior frequenza nei canali distributivi bancari, vi sono anche le polizze vita. Le somme conferite in questi prodotti assicurativi non sono soggette a imposta di successione, anche se si scelgono quelli che al proprio interno contengono fondi azionari, le polizze di ramo III (unit linked), hanno confermato a We Wealth gli avvocati Chiara Cimarelli e Antonio Longo, partner di DLA Piper.
Questa conclusione è materia per esperti legali, perché è stata a lungo dibattuta; tuttavia, affermano Cimarelli e Longo, tutte le polizze vita “sarebbero esenti ai fini del tributo successorio di cui al D. Lgs. 346/1990, così come dall’applicazione dell’articolo 1923 del codice civile che esenta le somme” conferite in polizze vita “da azione esecutiva o cautelare da parte dei creditori del contraente e/o del beneficiario di polizza”.
Per ciascun erede in linea retta, lo ricordiamo, i patrimoni ereditati per la parte eccedente al milione di euro è prevista un’imposta al 4%. Per quanto l’esenzione da tale imposta può attirare le famiglie più facoltose a considerare la polizza vita come strumento di trasmissione del capitale agli eredi, la consulente di Consultique difficilmente ne raccomanda l’utilizzo. “Non consigliamo prodotti quali, ad esempio, polizze unit linked e nemmeno polizze di Ramo I (ovvero polizze collegate a gestioni separate) in quanto, oltre a essere strumenti meno liquidi, sono in genere strumenti costosi e quindi risultano meno efficienti rispetto agli Etf”, ha affermato Ferrari. Tali costi potrebbero ridurre la valorizzazione del capitale in una misura tale da vanificare il beneficio che deriva dall’esenzione dall’imposta di successione