Per il nuovo anno la strategia di mercato vincente dipenderà, ancora una volta, dall’aver previsto correttamente le mosse delle principali banche centrali – in particolare quelle della Federal Reserve. A proposito di previsioni, gli economisti e i trader stanno esprimendo, rispettivamente, posizioni molto diverse.
Le posizioni del mercato, infatti, anticipano più tagli dei tassi, e più in fretta, rispetto al giudizio degli accademici. L’ultimo sguardo su quest’ultima categoria di osservatori l’ha offerto il sondaggio del Financial Times, che ha raggiunto 40 economisti fra il 1° e il 4 dicembre. Secondo tre quarti degli intervistati, nel 2024 la Federal Reserve taglierà i tassi di mezzo punto percentuale o ancora meno. Il dato è in forte contrasto con l’attesa attualmente prezzata sul mercato dei future, monitorato dal Cme FedWatch tool, che indicano un taglio da 1,3 punti come lo scenario più probabile. A fine 2024, il range dei tassi previsto dalla maggioranza degli economisti passerebbe dal 5,25-5,5% al 4,75-5%, contro un tasso prezzato dal mercato al momento al 4-4,25%.
Quanto scendono i tassi, quanto rendono i bond
Una differenza così ampi sull’andamento dei tassi avrebbe forti implicazioni sulle performance delle obbligazioni nel 2024. I bond tendono ad aumentare di prezzo quando i rendimenti diminuiscono – un fenomeno che sarebbe più accentuato se i tassi d’interesse scenderanno di più. Un sondaggio realizzato da We Wealth su 11 società di gestione patrimoniale (i cui risultati completi saranno pubblicati nel numero di dicembre) ha mostrato come una larga maggioranza degli investitori professionali si aspetti nel 2024 una performance positiva fino al 10% per le obbligazioni globali ad alto rating, così come per i titoli governativi globali.
Anche la tempistica del primo taglio è differente fra trader e accademici. Per la maggioranza degli economisti sondati dal Financial Times lo scenario più probabile è che i tassi Fed resteranno invariati almeno fino al luglio 2024, laddove il mercato prezza già al 60% un primo taglio a marzo.
Uno degli argomenti per i quali gli economisti non vedono la necessità di tagliare i tassi molto presto è la forza che ancora dimostra l’economia americana. L’ultima stima sulla crescita del Pil statunitense nel terzo trimestre ha battuto le attese del mercato attestandosi a un tasso annuo del 5,2%. Nel frattempo, il tasso di disoccupazione è salito solo leggermente dai minimi di mezzo secolo, portandosi al 3,9% a novembre. Di solito, le banche centrali ammorbidiscono la politica monetaria quando l’inflazione è allineata all’obiettivo; tuttavia, il deterioramento dell’economia potrebbe anticipare le tempistiche, visto che una politica monetaria più accomodante aiuterebbe a limitare il rischio di una recessione.
Per quanto riguarda le attese sull’inflazione americana, gli economisti sondati dal Ft si aspettano che il tasso Pce, quello più importante per la Fed, scenderà dai livelli attuali mantenendosi, però, al di sopra dell’obiettivo (2%) restando al 2,7%. La crescita economica forte e la disoccupazione bassa tendono a sostenere i consumi e i prezzi, questi elementi potrebbero spingere la Fed ad aspettare una perdita di slancio del Pil, prima di procedere con i tagli. Allo stesso tempo, gli economisti vedono appena un 20% di probabilità di recessione entro il secondo trimestre del 2025, allineandosi con l’attesa generale di un rallentamento progressivo e controllato dell’economia – lo scenario noto come “atterraggio morbido”.
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Inflazione persistente nel 2024? Non è lo scenario più probabile
In generale, ci sono poche ragioni per ritenere che, in assenza di nuovi shock determinati da crisi internazionali, l’inflazione possa imboccare una strada persistentemente più elevata come avvenuto negli anni Settanta. Su questo punto uno studio condotto dal professor Paul de Grauwe (London School of Economics) e Yuemei Ji (University College London), pubblicato sul sito del think-tank Cepr, ha mostrato come domare l’inflazione emersa nel 2021 sarà più facile per le banche centrali per via delle basse aspettative di partenza sull’andamento futuro dell’inflazione e l’espansione della domanda determinata da politiche di sostegno monetarie e pubbliche.
A differenza degli anni ’70, quando le aspettative di inflazione erano elevate, ora c’è meno necessità di causare una profonda recessione per spezzare le aspettative inflazionistiche, hanno affermato i due autori. Questa interpretazione depone a favore dei tagli dei tassi da parte delle banche centrali anche in assenza di una recessione nel 2024. Comunque andrà, le chance di guagagno per i bond a lunga scadenza sono favorevoli e le attuali posizioni dei gestori di fondi sono allineate su questa aspettativa.