La consulenza olistica è uno dei termini più ricorrenti nelle strategie commerciali delle reti: il suo obiettivo è assistere ogni aspetto della vita patrimoniale e, più prosaicamente, quella di vendere non solo fondi, ma anche assicurazioni. Il meccanismo, però, quando si parla di polizze di puro rischio, è molto meno oliato rispetto alla vendita di polizze vita, più facilmente assimilabili a una variante dell’investimento finanziario.
Proporre con più frequenza assicurazioni di “protezione” è un obiettivo strategico “chiave” per 8 banche private su 10, e per due di esse è una vera e propria “priorità”, secondo una recente ricerca condotta dall’Associazione italiana del private banking (Aipb) con PwC. Questi numeri, però, rappresentano più le aspirazioni per il futuro che non la realtà di oggi: la protezione, infatti, riveste un ruolo marginale nell’attività dei consulenti finanziari. Secondo l’ultima relazione dell’Associazione nazionale delle imprese assicurative (Ania), i consulenti finanziari abilitati hanno rappresentato solo lo 0,6% dei premi raccolti da tutto il ramo danni, escludendo le Rc auto: ciò equivale a 122,8 milioni di euro. Non c’è dunque da stupirsi se l’Ania ritiene il ruolo dei consulenti “molto limitato” nel ramo danni. E’ vero, però, che dal 2018 al 2021 si era osservata una costante crescita di questa piccola quota di mercato per i consulenti finanziari: considerando anche le Rc auto, essa era aumentata dallo 0,2% allo 0,5%, per poi arretrare allo 0,4% (a 144 milioni di euro).
La rilevanza dei consulenti finanziari nella distribuzione delle polizze danni si concentra soprattutto sulle polizze infortuni e malattia, con una quota di mercato dell’1,5%, seguita a distanza dalle polizze di protezione sulle proprietà, 0,3%. Altre polizze di puro rischio rientrano nel ramo vita e non sono facilmente isolabili dalla massa delle altre polizze considerate “da investimento”.
Assicurazioni, le barriere hanno frenato i consulenti finora
Se fra i consulenti finanziari la vendita di polizze danni non è mai decollata è anche perché gli stessi promotori si sentono spesso a disagio nel proporle. In cima ai timori espressi dagli intermediari raggiunti da PwC ci sono le possibili ricadute nella gestione dei sinistri, che per il 58% degli intervistati potrebbe minare la relazione con il cliente. Il quadretto non è difficile da immaginare: se l’assicurato/cliente non riceve il rimborso atteso nelle circostanze che credeva coperte, potrebbe abbandonare il consulente finanziario che ha proposto la polizza, portando con sé capitali e relativi flussi commissionali. Un intermediario private su due, poi, ritiene che la bassa cultura assicurativa della clientela sia un’altra criticità importante quando si parla di vendere polizze. Troppi rischi di equivoci, con il consulente che ha molto da perdere se a restare deluso dalla polizza è un “grosso cliente”.
Ad oggi, solo il 12% delle banche private attive in Italia dice di aver sviluppato un’offerta completa di assicurazioni danni e un altro 12% afferma di essere al lavoro per farlo.
Nonostante gli storici freni, la maggioranza degli intermediari ritiene strategico l’ampliamento dell’offerta di polizze danni. L’obiettivo principale, però, non è aumentare i ricavi – che realisticamente non potranno mai essere troppo significativi. Il 63% delle banche private vuole offrire più polizze di protezione con lo scopo di “fidelizzare il cliente nel tempo”, il 58% pensa che possa liberare da rischi il patrimonio e ottimizzare il portafoglio, mentre un più modesto 33% punterebbe sulle assicurazioni per diversificare le fonti di redditività per la rete.
Per padroneggiare al meglio gli aspetti specifici collegati alla vendita di polizze danni, quello che già accade nella maggioranza dei casi è che il consulente finanziario non venda questi prodotti in autonomia: sei volte su dieci, si legge nello studio di PwC, il banker viene supportato da un esperto assicurativo.
I punti a favore della strategia
I private banker, però, hanno anche alcuni punti di vantaggio rispetto agli agenti assicurativi che abitualmente trattano il ramo danni. Per quasi sei intermediari su dieci il principale punto di forza dei consulenti finanziari è che possono fare “un’analisi dei rischi più accurata, frutto di una conoscenza dei bisogni”, mentre oltre la metà ritiene di poter proporre “soluzioni di protezione più coerenti e integrate con il patrimonio”; uno su tre pensa, infine, che questo canale possa offrire “soluzioni più personalizzate rispetto alle esigenze e progetti” dei clienti.
La buona notizia è che la clientela private sembrerebbe ben disposta a parlare di protezione con il proprio banker: lo afferma il 69% del campione, mentre meno di un cliente su tre preferirebbe parlare di polizze solo con specialisti di questo ambito. Se questa apertura da parte della clientela c’è è anche perché un terzo degli intervistati crede di poter risparmiare acquistando polizze dal suo private banker.
“E’ emersa una grande opportunità che il mercato offre e che per essere colta richiede strumenti, prodotti e approcci innovativi: il bisogno di protezione dei rischi delle famiglie Private”, aveva dichiarato Mauro Panebianco, Partner PwC Italia, presentando le evidenze della ricerca, l’obiettivo è arrivare a “una piena integrazione dell’offerta assicurativa nei percorsi di gestione e pianificazione degli attivi finanziari” che per l’industria sarebbe anche “un’occasione di essere meno volatile alle turbolenze del mercato stabilizzando i relativi ricavi”.
Quali saranno le polizze di puro rischio che gli intermediari offrono con maggior frequenza e quelle su cui punteranno di più in futuro? Dall’indagine effettuata dal PwC le più proposte dalle banche private vedono in testa la Tcm, la polizza temporanea caso morte, seguita dalla polizza infortuni e dalla polizza sulla casa. Il podio sarebbe destinato a cambiare nei prossimi due anni: dietro alla Tcm, e davanti alle polizze malattia, salirà al secondo posto la Key Man, che rientrerà nell’offerta di ben 17 intermediari sui 31 raggiunti dalla ricerca.