Il clima di tensione aperto dal conflitto in Israele ha favorito in Borsa anche il settore della difesa, con Leonardo capolista a Piazza Affari a +4,79%
“Penso che in questa fase gli attori regionali puntino a disinnescare le tensioni, o quanto meno a contenerle. Al momento, il conflitto ha gli elementi per rimanere circoscritto”, ha dichiarato a We Wealth l’assegnista di ricerca all’università di Bologna, Giorgia Perletta
L’attacco di Hamas a Israele e la prospettiva di un’imminente campagna militare di larga scala su Gaza, hanno spinto gli investitori a moderare i rischi in portafoglio, non potendo escludere la possibilità di un’estensione del conflitto ad altri attori dello scacchiere mediorientale.
Presunti concorsi esterni dell’Iran nella preparazione dell’attacco lanciato sabato 7 ottobre, descritti da alcune fonti raggiunte dal Wall Street Journal, potrebbero estendere le conseguenze economiche del nuovo conflitto ben al di là della sua portata territoriale. Per il momento, però, si tratta di un coinvolgimento non confermato da fonti ufficiali.
La possibile estensione del conflitto ad altri attori, come il Libano e l’Iran è considerata la principale minaccia per i mercati, che si sono mossi su posizioni generalmente difensive nella giornata di lunedì 9 ottobre. Il riconoscimento di un ruolo dell’Iran nella strage di Hamas potrebbe comportare una riduzione dell’offerta di petrolio sui mercati, con una più stretta applicazione delle sanzioni sulle esportazioni dall’Iran. Secondo il capo strategist per le materie prime di Ing, Warren Patterson, tale stretta potrebbe sottrarre al mercato 500mila barili di greggio al giorno.
Allo stesso tempo, la reazione dell’Arabia Saudita potrà dare una forte impronta a un mercato petrolifero che, lunedì, ha reagito con decisi aumenti sul costo del barile. Il Brent ha toccato un massimo di giornata a 89 dollari, con un incremento superiore al 4% che ha riportato il greggio sui livelli del 4 ottobre e spinto i titoli energetici in Borsa. Prima dell’attacco, lo stesso Wsj aveva riportato che l’Arabia Saudita aveva dato disponibilità alla Casa Bianca per incrementare la produzione di greggio all’inizio dell’anno prossimo, qualora i prezzi fossero stati troppo elevati.
Oltre il petrolio: difesa e beni rifugio
Il clima di tensione aperto dal conflitto in Israele ha favorito in Borsa il settore della difesa, con Leonardo capolista a Piazza Affari (+4,79%) e rialzi significativi anche su Rheinmetall (+6,5%), Thales (+4,8%) e Bae Systems (+4,8%).
In parallelo, la domanda di beni rifugio è tornata a farsi sentire: l’oro ha toccato un massimo di giornata a 1.869,50 dollari l’oncia per poi rientrare in area 1,865, con un rialzo superiore all’1% che ha riportato il metallo giallo ai massimi da fine settembre. Il bund tedesco decennale, il principali titolo di rifugio per gli investitori nell’Eurozona, ha visto un calo nei rendimenti di oltre 110 punti base, con un minimo al 2,774%: fattore che ha contribuito ad allargare lo spread sul Btp a un massimo di 209 punti base.
Il rischio più temuto, l’estensione del conflitto
Le possibilità di allargamento del conflitto continueranno a influenzare i mercati internazionali anche nei prossimi giorni. Da parte libanese, il ministro degli Esteri, Abdallah Bou Habib, ha dichiarato che i vertici del gruppo islamista Hezbollah hanno dato la garanzia che non interferiranno nel conflitto fra Israele e Hamas, “a meno che Israele non commetta un’aggressione” nel Libano. Nel frattempo, l’Iran ha negato un coinvolgimento nella preparazione dell’attacco di sabato e lo stesso portavoce delle forze di difesa israeliane, Daniel Hagari, ha affermato che “non si può ancora dire se la Repubblica Islamica sia stata coinvolta nella pianificazione o nel training” dell’operazione lanciata da Hamas.
Nonostante lo storico sostegno ideologico e militare dell’Iran a Hamas è difficile saltare rapidamente alle conclusioni sul possibile coinvolgimento nell’attacco, ha dichiarato a We Wealth l’assegnista di ricerca all’università di Bologna, Giorgia Perletta, autrice di varie pubblicazioni sulla Repubblica Islamica. “Penso che in questa fase gli attori regionali puntino a disinnescare le tensioni, o quanto meno a contenerle; il Qatar (lo ha dichiarato oggi) o l’Egitto potrebbero svolgere il ruolo di mediatori tra Hamas e Israele, soprattutto per quanto riguarda lo scambio di prigionieri”, ha affermato Perletta.
“Al momento, il conflitto ha gli elementi per rimanere circoscritto, ma se la risposta di terra di Israele sulla striscia (attesa entro le prossime 48 ore) dovesse essere di larga scala, è possibile aspettarsi il coinvolgimento di Hezbollah”, ha aggiunto la ricercatrice, “se questa eventualità si verificasse, è difficile prevedere se il conflitto possa estendersi al Libano”.
Lo scenario di un conflitto che si estende direttamente a Iran e Isreale, poi, non sarebbe nelle priorità di nessuna delle due nazioni, secondo Perletta: “l’Iran non ha le capacità convenzionali per fronteggiare direttamente Israele; utilizzerebbe le basi di appoggio in Siria e Libano per colpire il territorio israeliano, ma mi sembra una eventualità remota” e “potrebbe intervenire tramite i suoi proxy regionali solo se Israele ponesse una grave minaccia ad Hamas”. L’assenza di conferme ufficiali da parte di Usa e Israele sul presunto ruolo diretto dell’Iran nell’attacco di sabato riducono, almeno per ora, le possibilità di conseguenze immediate su Teheran.
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L’appuntamento con l’inflazione Usa
La tensione che da Israele spinge il petrolio potrebbe trasferirsi sull’inflazione e colpire ulteriormente i Treasury Usa, già colpiti dallo scenario dei tassi elevati a lungo. Questo potrebbe “trascinare al ribasso le azioni e far salire il dollaro”, hanno ipotizzato gli analisti di Ebury. “In questo contesto”, hanno aggiunto, il dato sull’inflazione statunitense di settembre, in uscita giovedì, assume un’importanza ancora maggiore: qualsiasi segnale di continua moderazione delle pressioni inflazionistiche sarebbe molto gradito ai mercati e potrebbe determinare un significativo rimbalzo dell’euro”.