Nell’universo finanziario segnato dall’inflazione, dai rialzi dei tassi e dal crollo dei titoli tecnologici, alcuni analisti sono tornati achiedersi cosa sia “growth” e cosa “value”, un po’ come Giorgio Gaber si chiedeva “cos’è la destra e cos’è la sinistra”. Le due categorie, nelle azioni (come nella politica), sono meno immutabili di quanto si pensi. Infatti, secondo l’ultima revisione degli indici condotta da S&P Dow Jones Indices a fine anno, alcune delle maggiori società tecnologiche americane non rispettano più i requisiti per essere considerate ‘growth’. Ossia, società il cui elevato valore di Borsa riflette un grande potenziale di crescita futura. Secondo S&P, non appartengono più a questa categoria titoli come Meta, Amazon, Cisco e Microsoft.
Allo stesso tempo, alcune società comunemente ritenute “value”, ovvero a buon mercato o sottovalutate rispetto agli utili che generano, sono passate alla categoria growth: in particolare, le compagnie petrolifere Exxon e Chevron.
L’andamento dei mercati nel 2022 è il principale responsabile di questo “rimescolamento delle carte” fra le diverse categorie azionarie, il più grande che S&P abbia mai operato da quando compone questi indici, ovvero dal 2009.
Per la precisione il 31% della capitalizzazione dell’S&P 500 Value e il 32% dell’S&P 500 Growth sono stati oggetto di una rotazione, che ha inciso in modo evidente sulla composizione settoriale dei due stili di investimento – spesso replicata da fondi a gestione passiva che sposano una certa categoria di azioni.
L’esempio più eclatante riguarda il peso del settore tecnologico nell’indice Growth di S&P, che è scesa dal 44,2% al 34,7% in seguito al ribilanciamento? La spiegazione è prima di tutto matematica: dal momento che nel 2022 il settore tecnologico è sceso drasticamente (il Nasdaq composite ha ceduto il 33%) si sono ridotte le caratteristiche di valutazione elevata tipiche della categoria growth. Al contrario la crescita in Borsa delle compagnie petrolifere, le grandi vincitrici del 2022 a Wall Street, hanno fatto sì che il loro rapporto prezzi/utili non fosse più tanto a “buon mercato”, come avviene per i titoli value. E’ accaduto, così, che nell’indice growth di S&P il settore energetico sia salito dall’1,4 all’8%. Nell’indice value, al contrario, il peso dei titoli tecnologici è aumentato di 6 punti al 16,8% e non era mai stato tanto elevato.
L’esempio più eclatante riguarda il peso del settore tecnologico nell’indice Growth di S&P, che è scesa dal 44,2% al 34,7% in seguito al ribilanciamento? La spiegazione è prima di tutto matematica: dal momento che nel 2022 il settore tecnologico è sceso drasticamente (il Nasdaq composite ha ceduto il 33%) si sono ridotte le caratteristiche di valutazione elevata tipiche della categoria growth. Al contrario la crescita in Borsa delle compagnie petrolifere, le grandi vincitrici del 2022 a Wall Street, hanno fatto sì che il loro rapporto prezzi/utili non fosse più tanto a “buon mercato”, come avviene per i titoli value. E’ accaduto, così, che nell’indice growth di S&P il settore energetico sia salito dall’1,4 all’8%. Nell’indice value, al contrario, il peso dei titoli tecnologici è aumentato di 6 punti al 16,8% e non era mai stato tanto elevato.
Growth o value, come considerare queste categorie
Per chi fa ricorso a indici o categorie growth o value per articolare la sua strategia di portafoglio il ribilanciamento di S&P potrà dare qualche argomento di nuova riflessione, in particolare sulla sovrapposizione mentale fra categorie ed alcuni settori specifici. Per gli investitori finali potrà sembrare una modifica puramente teorica, a meno che non abbiano in mano alcuni fondi ancorati agli indici di S&P in questione – in quel caso un investitore convinto di essere all’avanguardia con un fondo growth potrebbe ritrovarsi in portafoglio le idiosincratiche compagnie petrolifere.
L’andamento che le azioni growth e value seguono in relazione all’andamento dei tassi spinge spesso gli investitori professionali a ricorrere a queste categorie per decidere come allocare i capitali. Le azioni growth sono considerate più performanti quando i tassi d’interesse sono bassi o, comunque in discesa: si tratta di aziende il cui prezzo di oggi incorpora già una forte crescita futura degli utili, che però risulterebbe vanificata maggiormente da un aumento del costo del denaro. Lo stile value è considerato più difensivo, perché si riferisce ad aziende attive in settori generalmente meno innovativi, con un prezzo che non deriva da una crescita degli utili futura.
I consulenti finanziari, quest’ anno, non sembrano propendere in modo chiaro per una categoria value o growth: secondo un sondaggio pubblicato il 19 gennaio da FTadviser un quinto dei consulenti ha dichiarato di essere neutrale sullo stile, il 20% si è detto molto o leggermente favorevole ai titoli value. Il restante 16% sarebbe favorevole ai titoli growth (il 10% leggermente, il 6% in modo più convinto).
Cosa sono, più nel dettaglio i titoli growth e i titoli value?
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