Pessimismo e speranze anticipano la riunione del 21 e 22 marzo della Federal Reserve, che dovrà indicare quali modifiche farà al percorso di rialzo dei tassi dopo i fallimenti bancari di SVB e Signature
Le attese sono per un rialzo da 25 punti base, con grande attenzione sulle indicazioni future della politica monetaria
Nella settimana dominata dal fallimento della Silicon Valley Bank la percezione dei rischi finanziari, da parte dei gestori dei fondi d’investimento, ha riavvicinato i livelli più alti degli ultimi 20 anni. Il dato, che proviene dall’ultima rilevazione mensile dei fund manager realizzata da Bank of America fra il 10 e il 16 marzo, si associa a crescenti livelli nell’allocazione in liquidità, arrivata a rappresentare il 5,5% del portafoglio medio (per fare un confronto, tale allocazione era al 5,9% nel pieno del crollo covid del marzo 2020).
Allo stesso tempo, la percentuale di gestori che si aspetta di vedere un’economia più debole nei prossimi 12 mesi è balzata dal 35% del mese scorso all’attuale 51%. Inoltre, la quota di intervistati che mette in conto uno scenario stagflattivo nei prossimi mesi (crescita bassa, inflazione alta) è tornata a salire, dall’82 all’88%: “Gli investitori non hanno mai avuto una convinzione così forte sulle previsioni economiche”, ha affermato il report.
E’ forse questo il momento della capitolazione dei mercati, la fase nella quale gli investitori vedono “più nero” e che anticipa l’inversione positiva dei mercati?
Le attese sul messaggio che lancerà la Fed
Una parte della risposta potrebbe essere ricavata dalle decisioni di politica monetaria della Federal Reserve, che si riunisce il 21 e 22 marzo per decidere come aggiustare la politica monetaria dopo l’impatto dei fallimenti di SVB e Signature sul flusso del credito all’economia. L’effetto della nuova ondata di sfiducia sulle banche dovrebbe essere restrittivo sul credito; questo potrebbe indurre la Fed a rialzare ancora i tassi di 25 punti base e lanciare un messaggio rassicurante sulle sue prossime mosse, anticipando la fine del ciclo di rialzi.
Secondo il sondaggio BofA, la maggioranza dei gestori ha aumentato le sue attese sul tasso terminale della Fed rispetto a febbraio, probabilmente osservando i dati sull’inflazione di fondo ancora in aumento su base mensile: un terzo degli intervistati ritiene che la banca centrale americana si fermerà nel range compreso fra 5,25 e 5,5% – questo implica un aumento complessivo da 75 punti base rispetto alla forchetta attuale. Nel caso la Fed dovesse optare per un rialzo da 25 punti base nella riunione di marzo, resterebbero altre due mosse di pari entità per il raggiungere il tasso terminale atteso dai gestori. Ma un messaggio più accomodante sul tasso terminale, da parte del presidente Jerome Powell, potrebbe dare nuovo slancio all’azionario. Così come un eventuale rinvio del rialzo dei tassi, la decisione che prevede Goldman Sachs.
“Rispetto alle previsioni di mercato le nostre attese sulla Fed sono leggermente più ‘hawkish'”, ha dichiarato il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich, “ci aspettiamo un Fomc che possa rialzare i tassi di 25 punti base al 4,75%-5% mantenendo comunque un atteggiamento abbastanza hawkish soprattutto nel grafico dotplot dove la mediana dei membri Fed dovrebbe mostrare un livello dei tassi a fine anno del 5,125%”.
Per giustificare il rialzo, nonostante le pressioni del sistema bancario, IG Italia si aspetta che la Fed “sottolineerà che esistono altri mezzi per sostenere la liquidità e la stabilità del settore… e che, al momento, la priorità è l’impegno nel fronteggiare le pressioni inflazionistiche che, a livello core, rimangono su livelli persistentemente troppo elevati“.
Nel frattempo, per contenere le vendite sui titoli delle banche regionali attualmente a rischio il Tesoro Usa ha annunciato la possibilità di offrire nuove garanzie sui depositi – una mossa che dovrebbe ridurre la fuoriuscita dei correntisti dalle banche regionali e consentire alla Fed di alzare i tassi senza creare eccessive ripercussioni.
Secondo Diodovich un atteggiamento più morbido da parte della Federal Reseve potrebbe “avere effetti positivi sui mercati azionari nel brevissimo ma negativi nel medio periodo”, in quanto “l’errore della Fed è stato fatto a fine 2021 quando considerava l’inflazione transitoria costringendola a ritardare le mosse di politica monetaria”.
Le ragioni per allentare la pressione sulla politica monetaria sono decisamente aumentate, ora che la maggioranza relativa dei gestori (31%) ritiene che un contagio sistemico del sistema bancario sia il primo rischio “di coda”, sorpassando con buon margine la percentuale dei money manager che teme un’inflazione alta per un lungo periodo di tempo (25%). Aumentare ancora i tassi potrebbe colpire le banche particolarmente esposte ai Buoni del Tesoro a lungo termine, che perdono valore quando i rendimenti salgono. Ossia, il meccanismo che ha contribuito al fallimento di SVB e Signature.
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Tempo di riparo, o di ritorno al rischio?
Alcuni gestori, nonostante il peggioramento delle previsioni sull’andamento dell’economia americana e il clima di pessimismo si stanno posizionando per essere pronti a cogliere la ripresa dei mercati negli stadi iniziali. “Se perdi l’inizio del rally, perdi il grosso dei ritorni” ha dichiarato Wylie Tollette, responsabile per gli investimenti di Franklin Templeton Investment Solutions, “è molto difficile recuperare se perdi le prima settimana o due, qualche volta è questione di giorni”.
Un parere simile a quello della stratega capo globale di Invesco, Kristina Hooper, per la quale se “il rallentamento dell’economia avverrà nella seconda metà del 2023 il mercato azionario starà guardando alla ripresa nel 2024”.
Sul versante più pessimista è intervenuto il capo stratega di Morgan Stanley, Michael Wilson, per il quale il rischio di stretta sul credito legata alle crisi bancarie negli Usa potrebbe presto colpire crescita economica e utili societari. Un cocktail che promette nuove correzioni sui mercati azionari: “Gli eventi della scorsa settimana significano che la disponibilità di credito sta diminuendo per un’ampia fascia dell’economia, il che potrebbe essere il catalizzatore che finalmente convince gli operatori di mercato che le stime sugli utili sono troppo alte”, ha affermato Wilson in una nota.
Anche il team di analisti di JPMorgan, guidato da Marko Kolanovic ha esortato i clienti a “un’allocazione di portafoglio difensiva” considerando che “le condizioni del credito sono destinate a stringersi più rapidamente a causa di pressioni di mercato e regolatorie”.
Tecnologia e azioni growth, in arrivo un assist dalla Fed?
“Sicuramente
il cambio di toni e di aspettative sul percorso dei tassi d’interesse
ha rappresentato una benedizione sul generale comparto tecnologico. I
mercati sono passati da tassi ‘alti a lungo’ ad iniziali tagli
già a partire dai prossimi mesi, con l’incertezza persino
sull’eventuale rialzo già a partire dalla riunione del 21-22 marzo. Il comparto
growth, con le sue valutazioni ai flussi di cassa attualizzati, trova nei minori tassi un fondamentale supporto per le
quotazioni”, ha dichiarato a We Wealth il market analyst di eToro,
Gabriel Debach. “A
tutto questo si aggiunge la rinnovata ondata di nuova liquidità,
segno ormai di un mercato che fatica a camminare da solo, dopo anni
di ‘supporto’, da parte della Fed. Dopo essere calato di quasi il 7%
nelle ultime due settimane il Bilancio Fed ha registrato una nuova
impennata, salendo di quasi il 5%”.
“In
tale contesto, resta tuttavia l’attenzione alla selezione, evitando
di essere troppo ottimisti su quei titoli growth ‘zombie’, ovvero
capaci di sopravvivere soprattutto in un contesto di bassi tassi e di
crescita economica”, ha concluso Debach, “le condizioni attuali di rallentamento e
incertezza economica potrebbero rappresentare un freno agli acquisti
di tali titoli”.