Nel giro di meno di tre settimane, dal 27 ottobre al 16 novembre, l’indice S&P 500 ha recuperato circa il 9%, lasciandosi alle spalle la fase di debolezza avviata nella seconda metà di settembre. Nell’ultimo mese, poi, il rendimento del Treasury decennale si è ridotto di 54 punti base, passando dal 4,99% al 4,45%. Adesso, mentre l’inflazione continua a scendere, i gestori di fondi globali vedono con largo consenso la possibilità di schivare una recessione negli Stati Uniti: anche per questo le ragioni per guardare ai mercati con maggiore ottimismo non sono mancate. Tuttavia, rimangono alcune voci disincantate sull’ultima fase di rimonta coordinata di azioni e bond, secondo le quali si sarebbe di fronte a una falsa ripartenza.
In una nota ai clienti del 13 novembre, il chief global markets strategist di JPMorgan, Marko Kolanovic ha suggerito di evitare non solo le azioni, ma anche i bond in quella che può essere considerata al momento una previsione piuttosto controcorrente fra gli specialisti. “Questo mese prendiamo profitto sulla nostra esposizione long duration ai titoli di Stato, visto il loro forte rally, l’aumento dell’offerta, la politica dovish della Fed e l’aumento degli acquisti da parte degli investitori”, ha scritto Kolanovic.
In previsione di turbolenze favorite dalle numerose crisi internazionali in atto, il capo strategist di JPMorgan ha deciso di puntare sulle materie prime: “Utilizziamo la riduzione dell’allocazione obbligazionaria per finanziare un aumento dell’esposizione sulle materie prime, visto il rischio geopolitico ancora elevato, il significativo sell-off e il posizionamento più debole nel settore energetico, e spostiamo gradualmente la nostra allocazione all’interno delle materie prime verso l’energia”.
Nell’ultimo mese, al 16 novembre, il barile di petrolio Brent ha ceduto oltre il 15% portandosi a quota 78 dollari. E’ importante notare come il 6 novembre, alla vigilia dell’attacco di Hamas in Israele, il barile Brent fosse su livelli più elevati di quelli attuali (84 dollari). Considerando i rischi geopolitici collegati, secondo Kolanovic il calo nei prezzi delle materie prime rappresentano un’opportunità per incrementare le proprie posizioni su questa asset class tipicamente difensiva (le materie prime sono state fra le poche a salvarsi dalla svendita di azioni e bond nel 2022).
Il pessimismo di JPMorgan si basa principalmente sulle conseguenze previste dei tassi di interesse alti per un periodo prolungato, in presenza di valutazioni azionarie elevate. “Nelle azioni, manteniamo una posizione difensiva e non siamo disposti a inseguire il rally delle ultime due settimane”, ha affermato Kolanovic, “la nostra posizione difensiva si basa sulla nostra aspettativa che una recessione avrà luogo l’anno prossimo“.
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Azioni, non si prevedono grandi rialzi nel 2024
Gli umori di alcune altre grandi banche americane, pur non raggiungendo le posizioni pessimiste di JPMorgan, non sono particolarmente entusiaste sulle prospettive del 2024, in particolare sull’azionario. Secondo l’outlook di Morgan Stanley l’indice S&P 500 chiuderà il prossimo anno a 4.500 punti, ossia sugli stessi livelli attuali (al 16 novembre). Secondo il Cio di Morgan Stanley, Michael Wilson, c’è da aspettarsi un rialzo del 7% per gli utili societari delle imprese incluse nell’indice principale di Wall Street, anche se nella prima parte del 2024 potrebbero esserci i maggiori rallentamenti.
La visione di Goldman Sachs è appena più ottimista, considerando che il target fissato per l’S&P 500 a fine 2024 è a 4.700 punti, un rialzo implicito del 4,44% rispetto ai livelli attuali.
Dall’altra parte dell’Oceano anche la banca svizzera Ubs, che ha presentato il 16 novembre il suo Outlook 2024, ha previsto un S&P 500 a 4.700 punti per la fine del prossimo anno. Sul fronte obbligazionario Ubs prevede che il decennale Usa potrà tornare al 3,5% di rendimento – il che implicherebbe opportunità di guadagno considerando che si tratterebbe di un calo di circa un punto percentuale rispetto ai livelli attuali.