- Cesarano: “Le elezioni americane potrebbero avere un primo impatto di breve termine in caso di vittoria di Trump, percepito come più incline a favorire i combustibili fossili”
- Il prezzo del Brent ruota intorno agli 80 dollari al barile. Da inizio anno è rimasto all’interno del range 70-90 dollari
Il petrolio mantiene un andamento positivo, con il prezzo del Brent che ruota attualmente intorno agli 80 dollari al barile. Da inizio anno le quotazioni dell’oro nero sono oscillate nella forchetta 70-90 dollari al barile, con tre fattori principali a guidarne l’andamento: la percezione dello stato dell’economia cinese, le decisioni dell’Opec+ e la geopolitica.
“Con riferimento alla Cina, la percezione di manovre di stimoli nel corso del secondo trimestre aveva contribuito a portare il Brent in area 90 dollari al barile”, racconta a We Wealth Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. “Successivamente, le possibili misure di sostegno alla domanda interna da parte del Dragone si sono rivelate inadeguate o comunque non strutturali, contribuendo al calo del Brent in estate”, ricorda l’esperto. L’Opec+ ha invece cercato di tenere ferma la linea di tagli alla produzione su un lungo arco temporale, arrivando a un compromesso a giugno, ossia consentire a otto paesi (tra cui Russia ed Emirati Arabi Uniti) di aumentare la produzione a partire da ottobre. “Il forte calo del greggio ha però spostato a dicembre la partenza di tali incrementi”, dice Cesarano.
Petrolio verso i 90 dollari al barile
“Nel frattempo, è emersa anche la volontà dell’Arabia di aumentare la produzione per preservare la sua quota di mercato, il che ha portato il prezzo a 70 dollari al barile a settembre”, continua lo strategist. Da allora, sono tuttavia emersi due fattori importanti. Innanzitutto l’annuncio delle manovre di stimolo da parte della Cina: nelle scorse settimane la banca centrale cinese ha tagliato a sorpresa i tassi di interesse e ha annunciato un nuovo pacchetto di misure a sostegno del mercato azionario, che prevede l’iniezione di circa 113 miliardi di dollari di liquidità. A questo si sono aggiunte anche delle misure a sostegno del mercato immobiliare – come la riduzione del tasso sui mutui e un allentamento delle regole per l’acquisto delle seconde case – e infine sono arrivati gli stimoli fiscali.
Dall’altro lato, abbiamo assistito a un intensificarsi delle tensioni geopolitiche, con il rischio di possibili attacchi di Israele su postazioni petrolifere iraniane. “Tutto questo in un contesto in cui, al momento, le scorte di petrolio Usa sono ai minimi da oltre un anno e le posizioni nette lunghe speculative sul Brent sono storicamente basse”, afferma Cesarano. Secondo l’esperto, queste considerazioni potrebbero aumentare l’impatto della possibile escalation geopolitica in Iran, con possibilità di ritorno del Brent in prossimità dei massimi dell’anno in area 90 dollari al barile. “Il movimento al rialzo potrebbe essere contenuto in quest’area di prezzo dall’entrata in vigore a dicembre dell’aumento di produzione degli otto paesi Opec+, oltre all’aumento di quella araba”, sostiene lo strategist.
Petrolio: cosa succede se torna Trump
Dall’altro lato, ci sono anche le elezioni presidenziali americane da considerare, che per l’esperto potrebbero a loro volta avere un impatto di breve termine sul petrolio in caso di vittoria di Trump, percepito come più incline a favorire i combustibili fossili soprattutto attraverso la tecnica di estrazione nota come “fracking” (tecnica che consente di estrarre dal sottosuolo idrocarburi da formazioni non convenzionali come rocce scistose bituminose, ndr). “In realtà, su questo punto anche la Harris ha recentemente manifestato un marcato cambio di posizione, ritirando l’opposizione all’utilizzo di questa tecnica come era emerso in passato da parte della candidata democratica”, precisa Cesarano. In sintesi, secondo lo strategist, le tensioni geopolitiche in un contesto di basse scorte Usa e basso posizionamento netto lungo della componente speculativa, insieme all’impatto potenziale delle recenti manovre di stimolo cinesi, potrebbero riportare il Brent in area 90 dollari al barile. “I successivi incrementi di produzione araba e statunitense – a prescindere dall’esito delle elezioni – potrebbero confinare in rialzi in area 90 dollari. Il rischio principale è quello di un’eventuale ulteriore forte escalation sul fronte geopolitico, con focus soprattutto sulle tensioni Israele/Iran”, conclude Cesarano.