Il tipico ciclo economico è composto da quattro fasi: una iniziale dove le attività economiche accelerano e le banche centrali allentano le loro politiche monetarie, una media con il picco del profitto e un aumento della domanda di credito, una definibile tarda con il mercato del lavoro che si irrigidisce, i profitti diminuiscono e le banche centrali sono costrette a optare per una politica fiscale più aggressiva, infine arriva la recessione con le attività economiche che crollano, il mercato del credito si contrae e la disoccupazione continua a crescere.
Il ciclo economico in cui ci troviamo oggi è iniziato dopo la Seconda Guerra Mondiale e guardando all’andamento del mercato, ora dovremmo trovarci di fronte ad una recessione. Eppure, suggerisce Jared Franz, economist di Capital Group, “sembra che abbiamo chiaramente evitato quella parte dolorosa del ciclo economico e ci siamo essenzialmente spostati indietro nel tempo economico verso una condizione più sana”. Insomma, invece che andare verso la classica dolorosa conclusione del ciclo economico, questo sia tornato sui suoi passi.
Non ci sono dubbi sul fatto che gli ultimi anni siano stati unici e probabilmente i movimenti del mercato che stiamo vedendo oggi, dipendono proprio dalle distorsioni post-pandemia. Mentre guardando al mercato del lavoro sono chiare delle condizioni di fine ciclo economico, gli indicatori economici più ampi – e forse più affidabili – sembrano suggerire di essere invece ancora a metà ciclo.
In tal senso, “se l’economia Usa si trova a metà del ciclo, come credo, allora potremmo essere sulla strada di un periodo di espansione pluriennale che potrebbe non produrre una recessione fino al 2028”, spiega l’esperto. Si tratta di una promessa molto allettante, contando che in passato, questo tipo di contesto economico ha prodotto rendimenti del mercato azionario dell’ordine del 14% all’anno e ha creato condizioni generalmente favorevoli per le obbligazioni.
Disoccupazione: un problema reale per l’economia Usa?
Storicamente, i dati sulla disoccupazione sono stati fondamentali per determinare le fasi del ciclo economico, ma ormai questo non è più abbastanza. Franz, in tal senso, è convinto che guardare al gap del tasso di disoccupazione potrebbe essere più rilevante, ovvero analizzare il divario tra il tasso di disoccupazione effettivo e il tasso naturale di disoccupazione, ovvero quello non accelerato dall’inflazione.
In generale, quando i mercati del lavoro sono rigidi, le pressioni sui costi tendono a essere elevate, i profitti delle imprese diminuiscono e l’economia tende a essere in ritardo rispetto al ciclo. Questo approccio ha funzionato bene anche in epoca pre-pandemica, fornendo un segnale precoce di vulnerabilità economica da fine ciclo nel 2019, a cui è seguita la breve recessione COVID da febbraio 2020 ad aprile 2020.
Ad oggi, sembra che la pandemia abbia distorto il mercato del lavoro statunitense, sia a livello strutturale che ciclico. In altre parole, i modi tradizionali di guardare al quadro della disoccupazione sono ora strumenti meno utili per calibrare le condizioni economiche più ampie. Sono diventati meno correlati alle dinamiche classiche del ciclo economico e poco realistiche.